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Immagine di Saba Najafi – padmasana, la posizione del loto

Quello che il termine “yoga” oggi richiama alla mente, soprattutto di persone che non ne sono particolarmente interessate, è un’attività per lo più corporea, con dei tratti contorsionistici, ma anche caratterizzata da aspetti un po’ misteriosi, di stampo esoterico. Chi frequenta il settore crede di saperne di più, magari perché conosce i nomi in sanscrito delle posizioni che vengono eseguite sul tappetino oppure perché riconduce all’antica India le origini di una disciplina ormai popolare in occidente.

Chi si dedica al c.d. yoga posturale, se ha avuto modo di testare insegnanti e scuole diverse, sa anche che esistono differenze significative nei modi di insegnarlo. Poi ci sono quelli che praticano la meditazione e che pensano che quello sia il vero yoga. E che dire del Sup Yoga, lo yoga sulla tavola da surf, molto in voga in tempi recenti?

Nel panorama contemporaneo, siamo di fronte a tante forme di attività che prendono tutte il nome di yoga. Un termine, dunque, che sembrerebbe prestarsi a essere qualificato in una varietà di modi diversi, tutti – se vogliamo – legittimi. In tale contesto, appare vano un discorso volto a riconoscere lo yoga autentico.

Il punto – e qui forse diventa più difficile rompere alcuni pregiudizi – è che possiamo affermare lo stesso con riferimento al fenomeno yoga nel passato. Si ha la tendenza a parlare di yoga (al singolare) quando si guarda indietro e al subcontinente indiano da dove è detta provenire questa “antica disciplina”. Esiste, cioè, nel nostro immaginario, uno yoga delle origini, che risale a un passato remoto e che, nel passaggio a occidente si è, per così dire, contaminato. Invero, alcune scuole reclamano oggi di rifarsi allo yoga autentico che hanno saputo preservare. Ma è veramente così?

Proprio come oggi esistono diverse forme di yoga, anche in passato, in India, esistevano diverse forme di yoga. Yoga come insieme di esercizi e tecniche corporee è una elaborazione relativamente tarda nella storia del subcontinente indiano. Le prime attestazioni testuali di una disciplina chiamata hatha yoga si possono far risalire a un’epoca non precedente all’XI secolo. Le sue radici, oltre che nelle tradizioni filosofiche già sviluppate all’epoca e nel tantrismo, sono da rinvenirsi in alcune pratiche ascetiche che risalgono al 500 a.C. L’hatha yoga si è poi sviluppato articolandosi in modo diverso a seconda dell’insegnamento di riferimento.

Yoga come corollario di una visione teorica

Nel guardare indietro, dobbiamo pertanto spogliarci di alcuni stereotipi che hanno alimentato i pregiudizi che nutriamo nei confronti del fenomeno yoga. Innanzitutto, le diverse tradizioni filosofiche che pre-datavano l’avvento dell’hatha yoga presentavano non solo un impianto teorico, che serviva a definire la condizione dell’essere umano e il suo modo di stare al mondo. Esse prevedevano, altresì, una parte metodica (yoga, appunto), che consisteva in una serie di step (anche se non propriamente ginnici) volti a correggere la “postura” abituale / il modo di guardare, per superare la sofferenza esistenziale e raggiungere l’obiettivo finale, di volta in volta identificato. Le correnti di pensiero – che nel loro insieme possono essere definite jñāna yoga – si proponevano di portare il discepolo / praticante a una condizione di salvezza / liberazione. Si parla, a questo proposito, di moksa, nirvana, kaivalya, samādhi: tutti termini che indicano uno “svincolamento” dalla dimensione terrena. Termini diversi, troppo spesso considerati come equivalenti, ma che a ben guardare si riferiscono a obiettivi ontologicamente diversi.

Da questi sintetici accenni, si può già comprendere come forse l’idea di praticare esercizi volti al miglioramento di sé e alla liberazione dalla sofferenza non sia poi così esotica come spesso crediamo quando pensiamo all’India come la terra dalla quale arrivano soluzioni magiche per la nostra salvezza. Nelle proposte di jñāna yoga possiamo rinvenire, infatti, delle somiglianze con la a noi più vicina filosofia antica, come per esempio lo stoicismo, oppure con il misticismo cristiano. Una lettura in questo senso del pensiero di alcuni filosofi occidentali viene presentata da Pierre Hadot, nel suo “Esercizi spirituali e filosofia antica” del 2002.

Dopo la rimozione, la riconfigurazione

Un altro aspetto da tenere presente riguarda il processo che ha portato all’emergere della disciplina che oggi in occidente chiamiamo Yoga al singolare. Dobbiamo considerare che buona parte degli asceti e, con essi, le tradizioni di austerità (tapas), che abbiamo detto essere confluite nell’elaborazione dell’hatha yoga, erano per lo più scomparse in seguito alla colonizzazione. L’occhio occidentale, da un lato, non ha saputo o voluto comprendere, dall’altro, è rimasto per lo più inorridito da un fenomeno così ricco e variegato come ancora si presentava ai primi dell’800. L’immagine, fortemente stereotipata, che ne è stata data risente pertanto di una forte stigmatizzazione. In particolare, con l’avvento della fotografia anche in India, nel 1840, la figura dello yogin che viene presentata al mondo è quella del fachiro dai poteri sovrumani oppure del mendicante ripugnante. Per questo motivo, e anche come conseguenza di deliberate campagne di sterminio, gli asceti e le relative pratiche erano, al tramonto della dominazione coloniale, finiti sotto traccia.

Alla “rinascita” della disciplina contribuirono diversi fattori, legati alle condizioni storiche e socio-economiche, presenti non solo, e non tanto, in India quanto anche, e soprattutto, in occidente o nell’India stessa per via delle contaminazioni globali. I fattori principali che hanno influito su tale processo sono stati: gli sviluppi in campo scientifico e medico; una maggiore attenzione alle arti ginniche e il culto del corpo; nonché una nuova concezione della spiritualità, che ha fatto seguito alla crisi delle istituzioni religiose tradizionali e che si è rivelata incline ad accogliere suggestioni dal campo dell’occultismo.

Episodio cruciale nel percorso che porterà alla nascita del c.d. Yoga Moderno (l’espressione è di Elizabeth De Michelis, “A History of Modern Yoga”, 2004) è la presenza di Swami Vivekanada al Parlamento Mondiale delle Religioni, che si è tenuta a Chicago nel 1893; una conferenza che ha visto riuniti i principali esponenti dei diversi credo professati all’epoca a livello mondiale. Arrivato un po’ per caso a ricoprire quel ruolo, Vivekananda è stato presentato come il portavoce dell’induismo. Fatto sta che nei tre anni successivi ha tenuto una serie di incontri in giro per gli Stati Uniti e, al termine del suo tour, ha pubblicato un testo in 2 volumi dal titolo “Yoga Philosophy”. Conosciuta come Raja Yoga, la sua esposizione contiene una sintesi di pratiche meditative, tecniche di respirazione, principi scientifici e istanze filosofiche. Obiettivo ultimo propugnato sarebbe la “realizzazione del Sé” (dall’inglese Self-Realization), che tende a confondersi con la God-Realization. Interessante notare l’adozione di un’impostazione monoteistica – c.d. neo-vadanta – che è stata elaborata in seno al movimento indiano Brahmo Samaj, essenzialmente come risposta al (e forse meglio sarebbe dire forma di adeguamento per accreditarsi agli occhi del) mondo occidentale rappresentato dal colonialismo.

Le riflessioni di Vivekananda, che non contengono indicazioni per eseguire esercizi propriamente fisici, saranno alla base dello sviluppo di uno yoga di stampo meditativo. In questo stesso filone si situa l’autore del celeberrimo “Autobiografia di uno yogi”, Paramhansa Yogananda, il quale, dopo essersi trasferito a Los Angeles nel 1925, istituisce diversi centri nell’ambito di una struttura che prende il nome di Self-Realization Fellowship.

Sempre negli Stati Uniti, sembrerebbe prendere avvio un altro tipo di yoga, di carattere posturale. L’interessamento si diffonde negli anni ’40 tra le icone dello spettacolo e del cinema hollywoodiani. Il fenomeno Indra Devi ben illustra la metamorfosi rispetto alle forme di hatha yoga praticate in India fino agli albori della colonizzazione. Eugene V.Peterson (alias: Indra Devi), nasce in Lettonia nel 1899. Frequenta gli ambienti della teosofia in Olanda prima di trasferirsi in India, dove impara lo yoga da Krishnamacarya a Mysore. Diventerà insegnante di yoga della moglie di Chiang Kai Shek a Shangai. In seguito all’occupazione giapponese, fugge negli Stati Uniti, dove si ritroverà a insegnare yoga alle principali star del momento. Il suo libro del 1953 “Forever young, forever healthy” , rappresenta bene l’idea del cambiamento di paradigma: non si tratta più di mortificare il corpo, ma di renderlo sano e performante. “Yoga for Americans” del 1959 è un vero e proprio audio corso di yoga (su disco), da praticare comodamente a casa. Non c’è più bisogno di un’iniziazione per accedere agli insegnamenti che venivano impartiti di persona da maestro a discepolo. Inoltre, il pubblico a cui si rivolge diventa principalmente femminile, un altro profondo cambiamento rispetto alla tradizione.

Nei successivi vent’anni anche in Europa assistiamo allo sbarco di sistemi diversi di yoga posturale. Se pensiamo che Iyengar, Pattabhi Jois e Desikachar sono stati tutti allievi di Krishnamacarya a Mysore, dove quest’ultimo era stato incaricato dal mahārāja Wodeyar IV della formazione del giovane erede al trono, e che hanno poi sviluppato ciascuno il suo stile particolare di yoga, ci possiamo rendere conto di come, in fondo, non doveva trattarsi all’epoca di un sistema canonico e standardizzato.

Le scuole che cominciarono a elaborare lo yoga posturale in India negli anni ‘20, lo costruirono come una sorta di versione indigena (e spiritualizzata) dell’educazione britannica.

A metà del ‘900 il formato della lezione standard era stato configurato: l’accento veniva posto sulla prestanza fisica e su un look giovanile. Man mano che veniva assimilato in ambienti esoterici occidentali, si trasforma come disciplina non prettamente corporea, ma che consente un accesso esperienziale al sacro. Salvo casi in cui venga praticato per scopi puramente performativi o ricreativi, motivazioni legate alla guarigione o alla crescita personale sono alla base del principale interesse verso la disciplina.

Ciò che è interessante sottolineare di questo processo è che in fondo si tratta di una sorta di “doppio trapianto” (l’espressione è in S.Mondini, F.Squarcini, “Rappresentazioni e icone. L’immaginario dello yoga dalla litografia al ritratto digitale.”, 2017): elaborato cioè in India in risposta a canoni importati dall’occidente, lo yoga posturale moderno viene esportato poi in occidente dove acquisisce un’ulteriore connotazione venendo adottato dagli ambienti esoterici. Esso ritornerà quindi in India così trasformato.

L’oggi

Quando, nel 2014, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama il 21 giugno “giornata internazionale dello yoga”, sembra di assistere al tentativo da parte dell’India – proponente di tale iniziativa – di riappropriarsi di qualcosa che forse le era sfuggito di mano. La Risoluzione dell’Assemblea Generale in sé non è vincolante per gli Stati membri e non comporta oneri finanziari. Per lo Stato indiano, all’epoca governato da Narendra Modi, tuttavia, il documento ha costituito il fondamento per portare avanti programmi ben definiti di accreditamento dell’insegnamento e della pratica di tale disciplina.

Come spiega bene Matteo Miavaldi nel recentissimo “Un’altra idea di India”, «lo yoga moderno ha fatto il giro del mondo ed è tornato a casa fra le braccia della destra nazionalista hindu. […] Lo yoga è la faccia dell’India che pensiamo di conoscere: mansueta, contemplativa, mite, un’India gentile che ci ha fatto dono della sua spiritualità. Ma sotto al tappetino si nasconde un’India vorace, spietata e frenetica pronta a scalare la piramide del potere globale e diventare una vera superpotenza economica e tecnologica. »

Da un certo punto di vista, il fatto che non esista uno yoga uniforme e codificato, ma che esistano tanti modi di fare yoga o che si chiamino “yoga”, può destabilizzare. D’altro canto, tuttavia, ci si sentirà destabilizzati solo nella misura in cui si pensa allo yoga come un idealtipo. Una volta appreso che si tratta di un fenomeno complesso, storicamente articolato e soggetto a un’evoluzione continua, smantellare gli stereotipi e, di conseguenza, mettere da parte i pregiudizi che ne sono stati generati, sarà l’esito di un’operazione di approfondimento che consiste nello studiare le fonti in modo scientifico.
A questo proposito, concludo con un ennesimo consiglio di lettura: F.Squarcini, L.Mori, “YOGA fra storia, salute e mercato”, Carocci Editore (2008).

Mara Valenti

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One thought on “Origini ed evoluzione dello yoga, oltre la concezione stereotipata

  1. Complimenti… all’Autrice! Ho molto apprezzato il suo stile divulgativo e documentato. Ho avuto, in realtà in poco più di 9’ e 55”, un quadro storico decisamente interessante e sinteticamente esaustivo dello YOGA e della complessità di questo fenomeno culturale. Si avverte l’approccio scientifico dell’autrice nella narrazione della sua evoluzione. Grazie!

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