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Il termine dal latino ignorantia identifica chi ignora determinate cose per non averle mai prese in considerazione in modo consapevole o chi, per mancata istruzione, non ne ha avuto accesso.
In alcune espressioni del nostro italiano si possono trovare delle chiavi di lettura interessanti su cui poter riflettere: “la superbia è figlia dell’ignoranza” identificando chi, non conoscendo, pensa di avere risposta a tutto.

“Io so di non sapere” diceva Socrate, il non sapere era l’ignoranza.

SUPERBIA – UNA MALATTIA MODERNA

L’oracolo, nel film Matrix, diceva che “non possiamo mai vedere al di là delle scelte che non comprendiamo”, così come non si può cambiare ciò che non si conosce, gonfiare il petto o “elevarsi” per sfuggire a chissà quale minaccia.

L’essere umano è superbo per natura, la sua non conoscenza di ciò che lo motiva, e l’incapacità di cogliere la reale portata degli effetti, lo pone nella condizione di ammalarsi, anche fisicamente. L’ignoranza è alimentata dalla paura, la quale ci terrà inevitabilmente lontani da tutto ciò che potrebbe creare disagi all’idea che abbiamo costruito di noi stessi.

L’essere umano è superbo, e non può essere altrimenti vista la sua condizione di ignoranza acclarata.

Una superbia che dona un’alta opinione di sé, delle proprie capacità e dei propri meriti, che esteriormente si manifesta con un’ostentazione di altera superiorità e di disprezzo per gli altri.

Il superbo è colui che gonfia il petto come un “gallo”, per proteggere il proprio territorio da qualsiasi minaccia che incrocerà sulla sua strada.
Per proteggersi il superbo deve alimentare un’alta opinione di sé, dovendo sfuggire a tutto ciò che lo vuole ghermire.
Egli si sente minacciato da tutti coloro che desiderano trascinarlo in “basso”, e che vogliono fargli assaggiare, suo malgrado, la nuda terra che ha in sé la capacità di orientare la coscienza verso nuovi orizzonti.

Il superbo si sente “il migliore di tutti”, “il predestinato”, “l’erede al trono”, magari anche “l’eletto”.
Esso sente che qualcosa gli spetta di diritto, continuando ad errare per la propria vita pronunciando il famoso: “Lei non sa chi sono io “.
Il superbo è ampiamente accessoriato e non si fa mancare nulla, visto che oltretutto si aspetta anche un riconoscimento per la propria responsabilità vera o presunta, della serie guardami e dimmi quanto sono bravo o domande come: Ma come non valgo? Non sono importante con tutto quello che faccio?.
In realtà il superbo è solo un bimbo insicuro che vuole essere guardato continuamente.

Il superbo vive una continua “condanna”, attraverso la quale deve “ingigantire” la propria persona.
Dante pone i superbi nel Purgatorio e li incontra la prima volta nel canto X dopo che è stato avvisato da Virgilio che sono in arrivo molte persone dal passo lento.
Virgilio, li descrive, come coloro che hanno dimenticato che “l’uomo è un bruco, destinato a divenire farfalla solo nell’aldilà, mentre ora sono curvi come telamoni sotto pesi troppo grandi rispetto alle loro forze”.

Il superbo, sopporta tutti i pesi, perché tocca tutto a lui, e se non ci fosse lui tutto cadrebbe sotto un peso non sopportabile da altri. Il “che cosa avrò mai fatto di male”, che si lascia scappare il superbo è fine a se stesso, perchè se qualcuno si azzardasse ad aiutarlo verrebbe respinto.
Questo per evitare di eliminare l’alibi della propria prevaricazione, giustificato dal fatto che la sua fatica è unica e indivisibile, un tesoro da preservare a tutti i costi.

Molto spesso il superbo non sa di esserlo, altrimenti agirebbe diversamente, riconoscendo una ferita che potrebbe essere sanata, disattivando la personalità e orientando la sua esistenza verso il benessere e la felicità.

La stessa faccia della medaglia della superbia è l’umiltà simulata.
Se il superbo non riceve la dovuta attenzione assume un tono dimesso.

Quando sente di perdere il gioco di potere, messo in scena dalla sua parte ombra, comincia a serrare la morsa nella quale imprigionare gli altri.
Vive un’ umiltà simulata, peggiore della superbia, perchè è una modalità ingannatrice che serve solo a imbrigliare gli altri, affinchè non divengano troppo pericolosi.

Questo atteggiamento ci impedisce di cogliere la bontà di ciò che stiamo vivendo, ma soprattutto la via di minor resistenza che la vita ci pone d’innanzi.
Gonfiare le proprie capacità e i presunti meriti ci fa tenere lontano gli altri, proiettando in loro le nostre paure e percependoli come minacciosi.
Dobbiamo scendere dal piedistallo dell’altisonante percezione di noi stessi, disintegrare l’illusione di una personalità ingombrante, di un ego affamato di riconoscimento, o alimenteremo la sofferenza di chi non è mai stato compreso, considerato, amato.

L’essere umano non può esimersi per sua natura dall’essere superbo, ma può cercare di vivere questa condizione con la maggiore consapevolezza possibile.
Con forza e coraggio cominciamo ad affrontare la nostra ignoranza/paura, invece di creare nemici ad arte sui quali scaricare la nostra frustrazione.

Assumiamoci la responsabilità della nostra vita, visto che essa non ci dà mai qualcosa che non possiamo reggere.
La vita è oggettiva, basta accettarla per quello che è, affrontandola con fierezza, anche con ignoranza, che avrà modo di trasformarsi in conoscenza, consentendo alla vita di plasmarci, liberandoci così da tutto ciò che ancora impedisce il sentirsi completi.

SUPERBIA E IGNORANZA YOGA

Essere coscienti di non sapere è una grossa realizzazione del Sé, che è l’essenza della conoscenza.

Sull’ignoranza o l’ignorare Socrate rincalzava dicendo: “il male è generato dall’ignoranza” , e qui l’ignoranza diventa un elemento di riflessione: la disinformazione online nell’era di Internet e dei social media, la diffusione di notizie false, i testi mal tradotti e spiattellati sul web, le frasi ad effetto riprese da guru famosi e fatte passare come realtà assolute, ecc.

La disinformazione e i dogmi cresciuti nell’era contemporanea sono diventati il problema principale di molte persone che spesso agiscono in base a informazioni errate, divulgate con ignoranza, che influenzano le loro decisioni e spesso anche quelle degli altri su concetti fuorvianti e spesso falsi.

Lo yoga, spesso ne è il teatro.

In una via spirituale non si dovrebbe giudicare, ma rimanere nell’accoglienza , anche perché nessuno sa cosa realmente sia bene per un individuo e cosa potrebbe esserlo per un altro.

Nei corsi yoga si vedono sempre più persone che peccano di superbia, con un ego enorme, che giudicano l’altro, convinte di aver capito tutto e di avere la verità in tasca solo perché insegnano/praticano yoga.

Molto spesso ci troviamo davanti insegnanti, adepti, accademici convinti di sapere tutto e che il loro modo di vivere, studiare, trasmettere e praticare sia l’unico possibile e giusto, col pretesto di seguire alla lettera i principi morali della rettitudine di Yamas e Niyama.

Questo è il primario atteggiamento di molti “addetti allo yoga” che spesso impedisce alle persone di avvicinarsi alla pratica yoga per paura, per timore di non sentirsi all’altezza, per il terrore di sentirsi giudicati, imperfetti, anche in un mondo che dovrebbe essere accogliente, nei confronti di chiunque.

Lo yoga non è una religione, quindi lo scopo non è convertire, non è obbligare qualcuno a credere per forza in qualcosa.
Lo yoga è un linguaggio e una via universale di realizzazione e unione con il tutto.

Il saggio è colui che non ha la risposta per tutto e non il contrario, ma è in totale accoglienza di tutte le manifestazioni della vita.

In realtà non esiste una sola spiegazione e una sola risposta o verità, quando si tratta di tradizioni spirituali dell’India.

Ogni via o lignaggio aderisce a dei principi diversi.

Per il Tantrismo, infatti, l’unico vero scopo per la pratica è: cercare la strada che è adatta a noi, (secondo la qualità dell’essere che abbiamo ricevuto dalla vita) riconoscendo la nostra natura primaria come divina, accogliendo tutte le qualità del cosmo (Tamas-Rajas-Sattva), senza alcun fine di giudizio (bene-male).

Il Tantrismo infatti, non basa i propri principi sugli Yogasūtra di Patañjali, o Nyama e Yama, anzi se ne guarda bene.

Non impedisce a qualcuno di andare contro la propria natura e suggerisce di vivere ogni emozione pienamente, tuffandosi nel dolore così come nel piacere e meditare in essi e con essi, senza negare o giudicare nulla.
Il kama (piacere o desiderio puro) in ogni sua forma è visto come supporto meditativo perché è tutto manifestazione della suprema forza cosmica dinamica e creatrice (Shakti).

L’intento infatti è quello dell’esplorazione delle varie forme della realtà manifesta, in quanto Devīkrīḍā (il gioco divino di Devi).

Alcune frasi tratte da testi tantrici che possono ispirarci:

“All’inizio e alla fine di uno starnuto, nella paura, nel dolore o davanti a un precipizio, nella fuga da una battaglia, nell’eccitazione del desiderio, all’inizio e alla fine della fame, è presente l’essere del brahman.”

— Vijñānabhairava

“la natura divina che lo yogin raggiunge non è qualcosa che prima non fosse, ma null’altro che la sua stessa intima natura di cui egli era soltanto incapace di prendere coscienza, benché fosse manifesta, per colpa delle costruzioni mentali suscitate dalla potenza di Maya.”

— Gli Aforismi di Shiva

“…Colui che ha conseguito questo stato di coscienza, vedendo il mondo intero come gioco, ininterrottamente compenetrato con la suprema realtà, è senza dubbio un liberato in vita.”

— Spandakārikā

“Attraverso l’esperienza di stati d’animo, sensazioni ecc., spinti al limite estremo, lo yogin può attingere la realtà dello spanda, l’energia vibrante indifferenziata, la realtà assolutamente ultima di tutto ciò che esiste. L’ira, la gioia, il dubbio, la fuga disperata di fronte a un pericolo provocano, giunte alla massima intensità, una sorta di vuoto nella coscienza, espellendo tutta la molteplicità inestricabile e fluttuante dei vari stati mentali.
A questo punto, lo yogin che è sempre rimasto presente a se stesso acquieta improvvisamente il dubbio o l’ira, compiendo quel movimento che fa la tartaruga quando ritira di scatto tutte le membra; oppure, nel caso della gioia o del terrore, li fa dilagare. È in questo momento che lo yogin, seppure per un attimo, tocca nel vivo in tutta la sua purezza e violenza, il proprio principio nascosto.”
— Raffaele Torella

Quindi, chi insegna yoga, dovrebbe avere la capacità di penetrare nell’anima degli allievi/e, esortandoli alla ricerca, allo studio, all’ascolto, al vedere oltre il visibile, al contatto con i propri sensi e tutto ciò che li circonda, cercando di amplificare al massimo la loro capacità, senza mai donare delle certezze assolute ma ispirare alla ricerca, senza mai fermarsi a frasi fatte o dogmi contemporanei: “l’ignoranza si lascia affascinare dagli slogan”, e nello yoga contemporaneo ce ne sono molti.
Nessuno dovrebbe approfittare della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro/a. La compassione è anche accettare che l’altro/a possa avere i suoi limiti.

LA CURA DALLA SUPERBIA

In una via di consapevolezza il potersi guardare allo specchio, dirsi e percepirsi consapevolmente “ignorante” è una grossa presa di coscienza e un’opportunità per uscire da uno stato di stallo cognitivo, in cui spesso ci troviamo, cercando nella curiosità la conoscenza che, migliora la pratica spirituale e la vita stessa.
L’unica arma è la parola vera e autentica, che si trasforma in una spada tagliente, pronta a tagliare l’illusione e dare una visione reale di ciò che realmente siamo.
Mostrare finalmente che il “re è nudo”, che le nostre paure non hanno un luogo dove nascondersi, facendo cadere le nostre illusioni e svelandoci per come realmente siamo.

Quindi abbassiamo le difese e le armi, abbattiamo i muri dell’ignoranza e della superbia, ri-troviamo la bellezza in ciò che facciamo e diffondiamo nel mondo, senza dilaniare, manipolare o imbrigliare la realtà.
In questo modo potremo tutelare e valorizzare la nostra “vera natura”, acquisendo quella presenza che è proprietà dell’anima.

La parola sanscrita Santosha (accontentarsi) dovrebbe diventare il nostro nuovo Mantra.

Buon Risveglio!

Maya Swati Devi

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