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Di solito da una classe di yoga ci si aspetta tante cose.
Gran parte delle persone non si informano prima sulla disciplina che andranno a praticare e il primo legame che si instaura con lo Yoga non è necessariamente semplice o pacifico.
La prima volta che si srotola il tappetino, infatti, ci si potrebbe sentire iperattivi o pigri, performativi o non capaci, sicuri o spaesati, uniti al gruppo o giudicanti verso se stessi o gli altri.. Insomma la gamma di sensazioni che emergono è vasta e spesso incontrollabile. È questo che accade con lo yoga: sfugge al nostro controllo e ci identifica spogliandoci.

Non è dato sapere cosa ci verrà proposto sul tappetino ma noi entriamo comunque convinti che quello che faremo ci permetterà di stare bene. E in un certo senso potrebbe essere così se solo entrassimo in classe in maniera più consapevole, attenta e anche priva di pregiudizi.

Quante volte non siamo in grado di ascoltarci e onorarci sin dall’inizio delle nostre giornate? Quante volte lasciamo che sia un commento pronunciato da altri a guidare le nostre decisioni e ad influenzarci nelle scelte? Quante volte, da quando pratichiamo yoga, ci siamo fiondati a lezione senza avere la minima consapevolezza di ciò che stesse accadendo al nostro sistema biomeccanico ed energetico?

Quando non saremo in grado di restare con le sensazioni scomode durante la pratica di Yin yoga che abbiamo scelto, penseremo che forse oggi sarebbe stato il giorno giusto per provare una posizione di equilibrio sulle braccia.
Quando non saremo in grado di respirare lentamente dentro le posizioni di Hatha o Vinyasa faremo i conti con l’irregolarità del nostro respiro, con le tensioni del nostro corpo e con l’irrequietezza della mente; magari questo ci farà sentire inadeguati e si attiverà così un circolo vizioso.
La mente ci suggerirà che forse è l’insegnante a non saper facilitare il nostro processo di introspezione.
La mente corre quasi sempre verso soluzioni e risposte che spesso e volentieri non pongono l’accento sulla nostra responsabilità.

Uno dei libri che più amo “”Lo Yoga nella vita”” di Donna Farhi dice: ““Finchè è qualcun altro a fare il mestiere di disciplinare ed incoraggiare, La nostra guida interiore non avrà alcuna necessità di svilupparsi. E, per di più, lo sforzo di praticare per conto nostro ci porterà inevitabilmente a sbattere il naso contro la causa di quella nostra debolezza. Potremmo scoprire che non ci siamo mai sentiti degni di ricevere attenzione da noi stessi o che non abbiamo dato al nostro sviluppo personale la giusta priorità”

Si dice che una pratica preliminare a tutte le altre, e in un certo senso annoverata nello yoga e compiuta tanto dall’insegnante quanto dagli allievi, sia quella della conoscenza di sè.

Ma quanto è difficile entrare in risonanza con la parte più vera e autentica di noi stessi? Quando è difficile riuscire a comprenderci ed accettarci oltre gli stereotipi e le congetture?! Nessuno può compiere questo viaggio tortuoso al posto nostro. È un cammino che richiede molte energie distribuite in tutto l’arco della vita. La nostra vita è una continua scoperta e con pazienza affineremo l’ascolto profondo di noi stessi e saremo in grado di comprendere di cosa abbiamo realmente bisogno.

Si parte dall’ascolto eppure ci si sorprende a non sentire la pace, attirati come siamo da stimoli caotici e rumorosi.
Non sarà sempre semplice, A volte ci capiterà qualcosa di incomprensibile che solo in seguito acquisterà un senso per la nostra evoluzione. A volte, deviati dal nostro stesso intuito, finiremo fuori strada per poi riprenderla o addirittura cambiare percorso. Occorre una giusta dose di imprevedibilità per sviluppare coraggio.
Ci si muove un passo alla volta (e con lo yoga pratico abbiamo già messo un piede davanti all’altro) eppure pretendiamo di raggiungere subito la meta. Si cerca uno scopo finale senza realizzare che lo scopo della vita è nella presenza e nella vita stessa.

Ecco perchè alla prima lezione di yoga, laddove si riuscisse a comprendere lo spirito della disciplina, ci si potrebbe sentire sconnessi. Il corpo – che non riusciamo bene ad abitare –- è lo strumento più vicino e concreto che abbiamo per connetterci a noi stessi. Il problema è che la reperibilità porta spesso all’usurpazione. Siamo cosi pronti a confrontarci con realtà ideali che sottoponiamo ad esame e pressione anche il nostro stesso corpo portandolo al limite di ogni esperienza, dandolo per scontato nelle sue funzioni senza mai fermarci un attimo per accettarlo e ringraziarlo. Così, il respiro è un riflesso di ciò che viviamo dentro.

Interroghiamoci quando possiamo su queste domande esistenziali, tanto semplici quanto complesse, per abbandonare gradualmente le aspettative irrealistiche e per abbracciare il mistero e l’autenticità che ci compongono.
Un po’ prima di srotolare il tappetino poniamoci questi interrogativi e, se possiamo, non esauriamo le risposte in maniera sbrigativa:

  • ““Come stai oggi?” Chiudi gli occhi, metti una mano sul cuore e rispondi con sincerità. Accetta ciò che emerge.
  • ““Di cosa pensi di aver bisogno per stare meglio o per potenziare questo stato di benessere?””
  • ““Sarai in grado di fare il possibile ma anche di sviluppare accettazione per risultati non sperati?””
  • ““Senti di poter ricevere sicurezza, riconoscimento, amore, vicinanza, supporto, pace, …?”” Concedi spazio a ciò che meriti abbondantemente.

“Lo Yoga ci chiede di vivere senza solidificare il nostro punto di vista e senza fissare il nostro punto di riferimento. Non c’è alcuna esperienza altra o del passato che debba diventare il fulcro di quella che stiamo vivendo ora o di quelle che stiamo per avere. Quando saremo in grado di rimuovere le maschere che ci siamo fabbricati, quell’io che tanto desiderava essere visto, vede finalmente se stesso, così com’è, senza veli.””
— D. Farhi

Valentina Marazzi

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One thought on “Connetterci a noi stessi. Una pratica da svolgere fuori e sul tappetino

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