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Definire lo yoga è un’impresa che in molti hanno tentato ed in cui ancora nessuno ha avuto completo successo.
Si potrebbe partire dall’etimologia della parola YOGA, da YUG, presente come concetto già nei VEDA, antiche scritture indù, e che in lingua sanscrita significa letteralmente UNIONE, GIOGO.
Ma, al di là dei significati linguistici, ciò che veramente è difficile definire, soprattutto alle orecchie di chi ancora non pratica, è unione di che cosa ed in che cosa.
Ma andiamo per gradi.
Unione è una parola meravigliosa, per sua stessa definizione ispira un senso di inclusione, abbatte le barriere ed i confini, favorisce la tolleranza e l’accettazione di sé e degli altri.

Ecco, forse una definizione della disciplina Yoga può ritrovarsi proprio in questo senso di inclusione, la sensazione che tutti sono i benvenuti sul tappetino, pronti ad ascoltare sé stessi ed a ricercare dentro quella pace che fuori è sempre più lontana.
Quell’approccio inconfondibile della nostra disciplina, secondo cui non c’è competizione, non c’è paragone da fare con altri, non c’è contrapposizione.
Nella nostra cultura di “no pain, no gain” un approccio del genere è rivoluzionario, una vera boccata d’aria fresca nel nostro mondo, dominato da conflitti continui, lotte per la supremazia, competizione sfrenata.

Quando fai yoga non importa a nessuno se sei grasso, magro, uomo, donna, ateo, religioso, giovane, anziano.
Non importa quanto perfetta è la posizione che stai mantenendo, non importa quanto a lungo la stai tenendo, perché nessuno guarda te, non è un’esibizione.
Quando fai yoga sei solo spirito, corpo e respiro, tutto in uno, e questa unica visione si percepisce chiaramente nelle classi di gruppo, quando l’energia dei tuoi compagni è la tua stessa energia, quando non esiste “l’altro da te”, perché diventa chiaro che tutti siamo uno.
Lo so.
Per chi non è praticante può essere un concetto difficile da assorbire, ed anche quando ci avviciniamo le prime volte è dura cercare questa sensazione tra una postura e l’altra, tra un respiro e l’altro.
Tuttavia, il nostro dovere come praticanti e insegnanti è proprio quello di favorire queste sensazioni di inclusione, e non solo a parole, ma prevedendo una pratica che si adatti davvero a tutti, tutte le età, tutti i corpi, tutte le meravigliose manifestazioni dell’essere umano.

Lo yoga non funziona quando riusciamo a restare 20 minuti sulla testa, o 2 ore immobili in meditazione. Lo yoga funziona quando guardiamo negli occhi di un altro essere vivente (umano e non umano) e non vediamo un’altra entità, ma vediamo noi stessi in un’altra forma.
Quando improvvisamente realizziamo che siamo tutt’uno, e siamo sulla stessa barca, e iniziamo a prenderci cura degli altri come di noi stessi.
Con questo non vogliamo dire che tutti i praticanti e tutti gli insegnanti siano dei santi, anzi, tutti noi restiamo umani, nelle nostre imperfezioni e mancanze – ma è proprio l’accettare tali mancanze senza giudicare che fa di noi dei praticanti.
Come spesso si sente dire, noi non facciamo yoga per diventare bravi a fare le “posizioni” ma per diventare bravi a vivere, facendo la pace e perdonando noi stessi per i nostri difetti, ed accettando gli altri con i loro.

Namaste,
Linda Renzi (FB e IG @lindayogateacher)
Savasana Studio

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