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Questa sequenza di Asana è molto probabilmente quella più conosciuta nelle varie scuole di Yoga, che lo inseriscono all’inizio della pratica.
Letteralmente il termine può esser tradotto con “Inchinarsi davanti a” o “saluto a”: anche se personalmente, osservando e praticando la serie di movimenti, preferisco il termine inchino, in segno di ringraziamento per l’astro che permette alla vita di esser ciò che è stata, ciò che è, e ciò che sarà.

Vedremo nella storia di seguito un’ulteriore ragione del perché considerare la sequenza una serie di inchini in segno di ringraziamento e gratitudine.
Esistono diverse varianti della sequenza, a seconda della tradizione della scuola di appartenenza, e può esser eseguita prendendo in considerazione:

  • il ritmo di inspirazione ed espirazione
  • ripetendo i Bija Mantra (OM RAM – OM RIM – OM RUM – OM RAIM – OM RAUM – OM RAHA – ripetuti per due volte per un totale di 12, come le posizioni della sequenza)
  • ripetendo i Mantra Solari dedicati alla divinità Surya – il dio Sole
  • con la consapevolezza ai Cakra che le varie posizioni vanno a toccare

Ci sono molte storie che raccontano della messa a punto del Sūryanamaskāra – i miti legati alle posizioni e alle sequenze ci possono esser molto utili per comprendere, in profondità, i significati dei gesti che compiamo durante la pratica, per coglierne l’essenza in modo più profondo.

Si narra che il sole abbia istruito Hanumān, il quale ha concepito il Sūryanamaskāra, come mezzo per ringraziare il suo Guru.

Da bambino Hanumān, allora semplice scimmia, era così forte che saltò in cielo per divorare il sole nascente, scambiandolo per un frutto dorato. Una volta cresciuto volle sapere tutto del mondo e chiese a sua madre come fare per imparare ogni cosa. La madre gli indicò il cielo dicendogli che il sole lassù vede tutto e che quindi avrebbe dovuto domandare a lui.
Hanumān andò da Sūrya e gli spiegò che voleva sapere tutto ciò che lui aveva visto dall’alto.

Dal canto suo il sole gli rispose che non aveva tempo per insegnare: non poteva fermarsi nemmeno un secondo per lui, in quanto questa stasi avrebbe decretato la fine di ogni forma di vita sulla terra.

“Non c’è bisogno che ti fermi” replicò Hanumān – egli decise di viaggiare davanti al carro del sole ogni giorno in modo che Sūrya potesse insegnargli tutto ciò che sapeva senza doversi fermare.

Il dio Sole lo avverti che il bagliore e il calore sarebbero stati intollerabili, ma Hanumān rispose che non gli importava perché la conoscenza e la sofferenza vanno di pari passo: per imparare  si deve lavorare duramente (ci ricorda qualche consiglio di qualche nostro insegnante / maestro sulla costanza e sulla disciplina?).

Impressionato dalla sua determinazione Sūrya acconsentì e fu così che Hanumān ricevette la sua istruzione. Passò migliaia di ore a fissare il sole dall’alba al tramonto, ascoltando con attenzione ciò che il Sūrya aveva da dire. Immerso in tutto quel sapere Hanumān realizzò il suo potenziale divino. Si tramutò da Hanumān la scimmia ad Hanumān il Dio – dotato di saggezza e potenza infinite.

Questo ci dovrebbe far riflettere sulla traduzione che diamo solitamente ad Hanumān-Asana, la posizione che traduciamo di solito con la “posizione della scimmia”: come possiamo comprendere, da questa storia, Hanumān è un Dio, ex-scimmia.

Tornando alla storia del mito: Hanumān ringraziò il suo maestro ed espresse la propria gratitudine inventando il Sūryanamaskāra.

E Sūrya?
Le più antiche immagini del sole ci arrivano dall’arte buddhista, dove ci viene mostrato un carro con le sue mogli o con le sue arciere che scontano frecce scacciando così l’oscurità. Nei templi indù il dio solare Sūrya è rappresentato mentre guida un carro con sette cavalli, che indicano i 7 giorni della settimana.

Ognuna delle dodici ruote del carro rappresenta un mese dell’anno e gli 8 raggi dei ogni ruota indicano le tradizionali suddivisioni del giorno. Il suo nocchiere è il dio dell’alba che a volte è rappresentato come un uomo (Aruni) altre volte come una donna (Usás).

Nelle Upanishad è il Sole a rivelare che in noi, e in ogni cosa intorno a noi, risiede il potenziale divino per espandere la mente e realizzare l’infinito: questa verità è stata svelata ad un antico maestro privato dalla saggezza dei Veda e in stato di profonda depressione perché pensava che solo attraverso i Veda, oggetti esterni, si potesse conseguire la piena realizzazione.

Il Sole, leggendo le avventure di Hanumān e la saggezza delle Upanishad, è quindi considerato un maestro buono pronto a svelare la verità che risiede in ognun* di noi. Se ci pensiamo è proprio grazie al Sole che esistiamo e che possiamo conoscere la vita così com’è.

Vittorio Pascale

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