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Davide Magni, sacerdote della Compagnia di Gesù, sostenitore della meditazione in ambito cristiano e con una lunga esperienza in meditazione Buddhista e T’ai Chi Ch’üan, in un suo provocatorio articolo apparso sulla rivista gesuita “Popoli”, dal titolo: “Esiste uno yoga cristiano?” scrive: «Ovviamente no, sarebbe come dire che esiste un “football cristiano” solo perché in ogni oratorio c’ è un campo di calcio. Ma certo esiste uno “yoga per i cristiani”. Una disciplina del corpo che predispone all’incontro con Dio. Il rosario, con le sue ripetizioni che somigliano ai mantra indu, è una Hesychia, una tecnica per armonizzare attraverso la preghiera il respiro e il battito del cuore. Non c’ è preghiera cristiana che non abbia la misura dei ritmi del corpo».

Le sue affermazioni sono state successivamente oggetto di critica da parte del professor Giuseppe Ferrari segretario del Gris (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa, organismo ecclesiale che tiene d’ occhio le nuove religioni e le sette) il quale ha affermato: «Allora lo chiamino training autogeno» e anche «Lo yoga è intrecciato alla religione induista, non può essere inculturato senza rischi nel cristianesimo». Per il Gris, la diffusione dello “yoga cristiano” altro non sarebbe che una variante delle sirene new-age. «In questi anni» rivela quest’ultimo «è stato necessario richiamare all’ordine alcune comunità che si erano spinte troppo avanti: cercando di “avvicinarsi ai lontani” si allontanavano dai vicini».

Il testo fondatore di questa “eresia yoga” e fautore del sincretismo sarebbe “Yoga per i cristiani” del monaco francese Jean-Marie Déchanet, che ottenne l’imprimatur nel 1956, in era preconciliare. Tuttavia l’unico documento vaticano sulla questione è tuttora l’ “Orationis formas” del 1989, firmata dall’allora cardinale Ratzinger: “un esercizio di grande equilibrio tra il «desiderio di imparare a pregare» e il pericolo di «autosufficienza» delle tecniche orientali, creatrici di «sensazioni di quiete» che potrebbero far dimenticare che la preghiera è pur sempre dialogo con un Altro”. Un passaggio però incoraggia gli yogi di Cristo: «pratiche di meditazione provenienti dall’Oriente  possono costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso». Ma le pressioni contrarie sono cresciute, forti della diffida di Civiltà cattolica (1990): «Non c’è nel Cristianesimo nessuna tecnica capace di causare necessariamente l’unione mistica con Dio». «Yoga, oppio per il cristiano», «incompatibile con la Grazia».

Anche l’antropologo Massimo Introvigne afferma in modo categorico «Non confondiamo lo yoga con gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola».

Più durevoli ed impegnative sono le iniziative personali da parte cristiana, avviate da alcuni specialisti, quasi sempre religiosi, con l’intento di adattare i metodi di meditazione orientale ai contenuti della spiritualità cristiana.

Ma riprendiamo ad occuparci di Padre Jean-Marie Déchanet. Egli nasce Gabriel-Robert-Vladimir Déchanet a Isches (Vosges), il 18 gennaio 1906. Suo padre, Octave Déchanet, muore quando aveva solo due anni, e sua madre, Marie-Rose Braconnier, alleva lui e il fratello maggiore con l’aiuto dei genitori. Nel 1924 Déchanet entra nell’abbazia di Sant’Andrea come fratello oblato (fu rifiutato il processo di ordinazione perché la legge della Chiesa proibiva a un uomo con epilessia di diventare un prete). Nei primi anni ’40 viene “provvidenzialmente guarito” dalla sua malattia e inizia a imparare varie forme di esercizi fisici scoprendo l’hatha yoga di cui successivamente scrive a lungo e insegna agli altri attraverso lezioni di gruppo. Viene ordinato sacerdote il 22 maggio 1948. Dal 1956 al 1964 vive nella missione di Sant’Andrea Kansenia (Katanga) in Africa lavorando a vari progetti missionari. Quando le sue richieste di adattarsi piuttosto che imporre la cultura monastica europea alla gente del posto vengono respinte dai suoi superiori, decide di tornare in Europa.

Non volendo tornare all’Abbazia di Sant’Andrea, Déchanet raggiunge un accordo con il vescovo di Grenoble e l’abate di St. Andrews per stabilirsi a Valjouffrey, un piccolo villaggio nel sud della Francia, dove vive e lavora per più di 24 anni. A Valjouffrey tiene lezioni di hatha yoga, teologia e alimentazione (con attenzione ai cibi integrali). Dagli anni ’70, persone francesi, svizzere e italiane vengono a visitarlo a Valjouffrey e ad imparare i suoi insegnamenti sulla spiritualità e la salute.

Nell’autunno del 1990, ritorna all’Abbazia di Saint Andrews dove trascorse gli ultimi mesi della sua vita per morire poi il 19 maggio 1992.

Per quanto riguarda l’incontro di Yoga e cristianesimo, momento cruciale avviene nel novembre ’78, in un seminario a nord di Calcutta (India) in cui si sono riuniti i rappresentanti di tutte le Conferenze Episcopali dell’Asia. Quest’assemblea ha come compito fondamentale lo studio della preghiera delle grandi tradizioni dell’Asia messa in relazione con la preghiera cristiana. Si è trattato di una riunione molto importante che vede i più genuini rappresentanti della preghiera asiatica, orientale, in dialogo col cristianesimo.

Nello stesso anno Paolo VI, dieci giorni prima della sua morte, si rivolge così ad un gruppo di monaci zen giapponesi e ad altre personalità del mondo orientale: “Ci conforta la priorità che date alla purificazione del cuore che è una soluzione chiave per qualsiasi problema”.

Grandi pionieri in questo nel campo dello yoga classico sono stati (come abbiamo visto) DeChanet, padre Kadowaki, gesuita e maestro zen autore del libro lo “Zen e la Bibbia”, Anthony De Mello, indiano, conosciutissimo per i suoi libri di meditazione tradotti in quattordici lingue, John Main e un monaco cistercense Basil Pennington (il cui metodo di meditazione si basa sulla ripetizione e interiorizzazione di una parola sacra). Non si può poi dimenticare il filosofo, teologo e presbitero Ramon Panikkar.

Secondo P. Mariano Ballester gesuita spagnolo che ha fatto studi di Psicologia dell’esperienza spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma: “Questi avvicinamenti non escludono, da parte nostra, la necessità di adattare le “novità” orientali alla nostra cultura e alla nostra vita quotidiana. Se i metodi di meditazione sono così importanti per trovare il proprio “centro”, come mai Cristo non ci ha trasmesso queste tecniche?”.

Continua Ballester: “In realtà Cristo non è venuto a rivelarci un metodo, una tecnica di meditazione, ma a risvegliarci e salvarci dal nostro torpore ed egoismo e a rivelarci chi siamo. Siamo noi, come discepoli e come Chiesa che, guidati dalla sua parola, possiamo e dobbiamo trovare la nostra via di meditazione e realizzazione. Ma lo stesso Cristo ci ha dato le chiavi preziose per un vero e proprio cammino meditativo, in sintonia con le grandi tradizioni di spiritualità , già esistenti nel suo tempo.

Il fatto che la nostra tradizione abbia maestri di meditazione silenziosa come Eckhart, Tauler, Ruysbroeck, Gregorio di Nissa, l’autore della “Nube della non-coscienza”, e Giovanni della Croce (che i monaci dello zen stimano moltissimo), e che abbia aperto vie di realizzazione come quelle dell’esicasmo, praticato ancor oggi nel Monte Athos, è un palese indizio che il messaggio di Cristo contiene queste chiavi di silenzio. Infatti, nonostante Cristo avesse la necessita pedagogica di adattare i suoi insegnamenti a una grande varietà di ascoltatori, i suoi insegnamenti contengono chiari inviti alla continua pratica della consapevolezza, come appare nelle parabole della luce, e norme molto pratiche e concrete, in perfetta sintonia con le discipline yama e niyama che iniziano lo yogasutra di Patanjali, come sono, ad esempio, gli orientamenti e i consigli dati nel Sermone della Montagna, (molto apprezzato dagli orientali).”

ll libro “Il discorso della montagna. Secondo i vedanta” di Swami Prabhavananda va a confermare la tesi di P. Mariano Ballester S.J. che afferma: “Sono stati spesso gli stessi orientali a farci scoprire sottilmente questo aspetto del messaggio di Cristo…Ecco perché, malgrado Cristo abbia spalancato le spiagge di meditazione e di sviluppo spirituale, che ci avrebbero fatto diventare vera luce del mondo, sale della terra, come Egli voleva, noi ci siamo invece mantenuti fedeli alla nostra sordità, contenti nei ridotti schemi del nostro pensiero, e forse sarebbe ancora più adatto dire del nostro emisfero cerebrale sinistro.

Cristo stesso, poi, quando finiva di parlare lasciava intendere che non tutti avevano capito o saputo cogliere i preziosi insegnamenti per una vera e propria realizzazione, dati i diversi stati di coscienza, più o meno sviluppata, con il noto avvertimento: “Chi ha orecchi per intendere, intenda!”… Anzi, conclude Padre Ballester, “penso che questa ondata, che rinfresca dappertutto e che purifica le nostre secolari impalcature e i nostri freni nella via dello spirito, non si fermerà neppure di fronte a un possibile yoga occidentale o yoga orientale, ma ci porterà verso lo yoga dell’umanità”.

Massimo Mannarelli

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