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Foto: Clouds by Gerd Altmann da Pixabay

Secondo il grande saggio Vyasa, primo commentatore degli yoga sutra di Patañjali, “lo Yoga è Samādhi”, l’ultimo degli otto stadi che Patañjali enumera per arrivare all’illuminazione.

Il Samādhi, dal sanscrito, stabilire, mantenere è uno stato d’estasi della coscienza che avviene dopo aver mantenuto uno stato meditativo senza distrazioni per almeno 30 minuti. Viene considerato il culmine di ogni attività spirituale e intellettuale. Quando si raggiunge questo stato di coscienza si è sciolti dalla catena delle morti e delle rinascite e si ottiene la liberazione.

Raggiungere questa condizione dell’essere non è cosa semplice, poiché richiede di tenere stabile la mente, nell’oggetto della meditazione, senza distrazioni. Se questo accade il soggetto e l’oggetto della meditazione si fondono insieme, e si raggiunge lo stato di estasi cosciente.

Un sentiero non privo di ostacoli, dovuti alla mente, sempre irrequieta, soggetta a continue fluttuazioni, che ne causano l’instabilità. Solo con la soppressione dei movimenti della coscienza, “Yogaś citta vṛtti nirodhaḥ”, scrive Patañjali nel secondo sutra del Samadhi pāda, si può raggiungere lo stato di Yoga.

In questo sutra troviamo la definizione dello yoga che è l’arte e la scienza della disciplina della mente. Educare la mente, per ritrovare quel silenzio interiore che si ha con il cessare delle fluttuazioni (vṛtti) dovute ai movimenti della coscienza. Il movimento costante delle vṛtti impedisce la percezione della vera natura dell’essere.

Attraverso la pratica dello yoga la coscienza si libera dalle identificazioni; pensieri, visioni, immagini che incatenano il nostro essere agli oggetti dei desideri, causa delle fluttuazioni della mente.

La mente possiede tre qualità che risiedono nei tre elementi fondamentali della materia i guṇa: illuminazione (sattva), attività (rajas) e inerzia (tamas). Quando la nostra attività si dirige verso l’illuminazione allora avremo la liberazione, ma se la nostra attività è diretta verso l’inerzia allora ci sarà confusione.

Le fluttuazioni possono portare a identificarsi con suggestioni che possono essere positive o negative. Ad esempio, le persone che pensano di essere a rischio di malattia, hanno un’alta percentuale di esserne colpiti. Viceversa, chi pensa di raggiungere un obiettivo, ha un’ottima possibilità di raggiungerlo.

Se lo stato della coscienza è quieto troviamo il testimone silenzioso che alberga dietro le attività della mente. Quando ciò si è realizzato la coscienza si riposa nella sua natura essenziale “Tadā draṣṭuḥ svarūpe’vasthānam” afferma Patañjali nel terzo sutra del Samadhi Pāda.

Se le onde della mente sono appagate dalle interferenze dalla coscienza, l’essere si rivela e risiede nella sua propria magnificenza. Quando ciò avviene ci rendiamo conto che noi non siamo né i pensieri né le sensazioni che ci attraversano; sperimentiamo in forma diretta la qualità di discernere. Una volta realizzata l’anima dimora nella propria sede. In questo ultimo sutra troviamo la definizione dello yoga che è l’arte e la scienza della disciplina della mente la quale, ci insegna a ritrovare quel silenzio interiore che si ottiene con il cessare delle fluttuazioni dovute ai movimenti della coscienza.

Se questo non avviene continua Patañjali nel quarto sutra, c’è identificazione con il movimento della mente “vṛtti sārūpyam-itaratra”. Identificandoci con le fluttuazioni della mente, si ha confusione e ignoranza e non si è più in grado di discernere la natura degli eventi che la abitano. Lo stato di coscienza ordinario identifica la realtà di ciò di cui siamo coscienti, e ignora ciò che ci ha consentito di divenire coscienti. Questo spiega perché viviamo in una società primitiva a livello cognitivo, dove la sofferenza causata dall’instabilità della nostra mente in preda ai suoi vṛtti, genera: povertà, guerre, criminalità, degrado ambientale, tradimenti, malattie e quindi sofferenza.

Lo scopo della disciplina yoga è di dissociare la coscienza dalla sua identificazione con il mondo fenomenico, di controllare i sensi dai quali è intrappolata e quindi di purificare la mente affinché possa illuminare l’anima. Se questo si realizza, si potrà compiere quel salto quantico verso la vera emancipazione dell’intelletto che ci porterà sul sentiero per giungere al Samadhi e la pace sulla Terra. Questo lo potremmo ottenere solo controllando le vṛtti, con l’arma della conoscenza dello yoga, come dice il Principe Kṛṣṇa al Generale Arjuna nel capo di battaglia del Kurushektra.

Om Tat Sat

Umberto Assandri

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