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Tempo di lettura:3 minuti, 26 secondi

Photo by Motoki Tonn on Unsplash

Nelle pratiche yogiche il respiro con la sua espansione, la sua sospensione e la sua modificazione, occupa un ruolo fondamentale.

Talmente importante che è stato inserito all’interno dell’Ashtanga Yoga di Patanjali, sotto il nome di Pranayama. Velocemente lo traduciamo con espansione (Yama) dell’energia vitale (Prana) veicolata a mezzo del inspiro e dell’espiro.

Vediamo cosa dice l’autore a riguardo:

Capitolo 02 – Sutra 49: dopo aver padroneggiato l’Asana, il Pranayama è l’arresto di inspirazione ed espirazione.

Capitolo 02 – Sutra 50: il Pranayama è esterno, interno o trattenuto, regolato dal luogo, dal tempo, dal numero, e diventa prolungato sottile.

Ci si potrebbe domandare… perché solo dopo aver padroneggiato l’Asana?

La risposta è alquanto semplice. Pensateci un momento.

Non vi viene in mente nulla?

Le tecniche di Pranayama vengono solitamente svolte in una posizione seduta, di meditazione (anche seduti su una sedia, non bisogna necessariamente essere in Padmasana – posizione del Loto).

L’importante è che la Colonna vertebrale sia ben eretta con il capo in linea.

Questo per garantire sia una corretta postura della colonna (a livello fisico) che un corretto flusso dell’energia vitale (il Prana) attraverso le tre Nadi (canali energetici) principali situati nella zona della colonna vertebrale. Si permette così al Prana di scorrere tranquillo in Ida – Pingala e, quando attiva, Sushumna.

Pensiamoci: se il corpo non fosse a proprio agio, se avessimo dolore alle spalle, alla schiena, alle gambe, prurito in posti non battuti dal sole… cosa osserveremo in realtà?

Il lavoro che si sta svolgendo con il Pranayama si ridurrebbe al pensiero ossessivo del corpo e dei muscoli che urlano pietà dopo 5 minuti di pratica. Un corpo in salute garantisce al praticante di osservare solo ed esclusivamente il respiro, a modificarlo o a prenderne semplicemente consapevolezza.

Tutto ciò si riflette anche nelle alter pratiche più “interiori” di Patanjali: Pratyahara (ritiro dei sensi) – Dharana (concentrazione) – Dhyana (Meditazione). E anche in Samadhi, lo stato di beatitudine che ha in sé alter sfumature che richiedono una perfetta fusione con elementi grossolani e sottili.

Una volta che il corpo è in salute, con Asana i cui livelli di difficoltà vengono scelti dal praticante o indicate da un Maestro, si può iniziare con le pratiche di modificazione del respiro.

Ma perché è così importante praticare la modificazione del respiro che porta all’espansione della nostra energia vitale?

Anzitutto la traduzione del sostantivo Pranayama ci fa già ben sperare: espandere la propria energia non è sicuramente qualcosa da cui fuggire o da non sperimentare.

Ma c’è dell’altro.

  1. gli antichi cercatori dello yoga hanno scoperto che lo stato della mente si riflette nella qualità del respiro: se la mente e disturbata, anche respiro lo è. Il respiro è la cartina tornasole delle nostre emozioni: ci dice quando siamo arrabbiati, quando bramiamo qualcosa, o quando arriva un’emozione. Patanjali ci consiglia di fermarci e osservare, senza giudizio, il respiro: se lo facciamo noteremo che il respiro si assesta spontaneamente. Ogni tradizione meditativa inizia con pratiche che hanno come oggetto respiro. Non è un caso.
  2. non si può vivere senza il respiro, è la prima cosa che facciamo quando nasciamo e l’ultima che faremo… esalare l’ultimo respiro, come si suol dire.
  3. il respiro non ha bisogno di noi per compiersi, è un’azione che va da sé, involontariamente, quando non ci pensiamo. Se dovessimo esser responsabili della nostra respirazione 24/24h saremo già morti da tempo. Pensateci. Sintonizzarsi sul respiro si fa capire che non abbiamo il controllo su ogni cosa ma che, anzi, ci sono attività molto vicine a noi che si compiono in modo natural/spontaneo.
  4. radica nel qui e ora: ogni respiro che osserviamo è “questo inspiro e questo espiro”. Non possiamo osservare un respiro che è avvenuto 5 minuti fa… e quello che stiamo osservando ora è già passato.
  5. il respiro lascia la possibilità di distacco: tornare di continuo al respiro può lasciare andare la tendenza a sistemare subito le cose. Offre la possibilità di lasciare che la vita si viva un po’ per conto suo, lascia emergere l’essere contrapposto al fare.

Vittorio Pascale

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