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Conoscere e trasformare il carattere con la forza del respiro

La psicoterapia bioenergetica, ideata da Alexander Lowen nella metà del secolo scorso, parte dal presupposto che i vissuti psichici (pensieri ed emozioni) siano il correlato dei vissuti fisici; in altre parole, ciò che si manifesta a livello emotivo si riverbera anche a livello muscolare. Il concetto di carattere, ripreso dagli studi di Reich, si definisce come insieme delle tensioni e rigidità muscolari che riflettono precisi tratti psichici, ovvero sia blocchi emotivi, traumi, ecc.

L’idea di fondo è quella di considerare il funzionamento dell’uomo come un insieme integrato di psiche e soma dove il funzionamento energetico, più o meno ottimale, dipende appunto dalla capacità di sentire, di percepire e di vivere le emozioni in maniera piena e soddisfacente.

Determinati fallimenti in termini di esperienze relazionali e quindi affettive, possono causare dei ritiri energetici, ovvero delle “censure” emozionali che non consentono all’energia vitale (intesa proprio come capacità di sentire, di gioire e di provare piacere), di fluire liberamente.

Lo scopo della terapia bioenergetica è quello di aiutare le persone a tornare ad essere con il proprio corpo, ovvero di rimuovere tutti gli impedimenti energetici (tensioni muscolari e quindi rigidità caratteriali) e di superare il ritiro emotivo, così da andare oltre la paura di vivere.

E’ proprio il timore di sentire, di entrare in contatto con le emozioni e le sensazioni somatiche che comporta progressivamente un distacco (scissione) fra corpo e mente.
Rifugiarsi nel mondo delle idee e delle illusioni allontanandosi dalle sensazioni del corpo, diventa il compromesso per sopravvivere che, nel tentativo di anestetizzare il dolore, inibisce il piacere e la gioia di sentirsi pienamente in un corpo “vibrante”.

Ognuno trova le proprie strategie per sopravvivere al dolore andando a definire un’armatura caratteriale dotata di nodi, blocchi, tensioni specifiche che si manifestano a livello corporeo attraverso precisi atteggiamenti muscolari e posturali. Reich inquadrò i tratti corporei in cui le tensioni si manifestano e li raggruppò in sette segmenti: oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale e pelvico, dove per ognuno di essi si ha una respirazione specifica che non consente, per ragioni diverse, di sentire pienamente il corpo e le sue sensazioni.

Ispirandosi a queste intuizioni, Lowen definì cinque tipologie caratteriali diverse, dove per ognuna di esse si riscontra la strategia difensiva messa in atto dal soggetto per reagire a determinati fallimenti emotivi in termini relazionali. Attraverso la corazza difensiva (caratteriale) il soggetto si difende dall’angoscia e riesce a fronteggiare il dolore, a scapito però della capacità di sentire autenticamente sé stesso.Le strutture caratteriali definite da Lowen sono: orale, schizoide, masochista, psicopatico e rigido; per ognuna di esse vi sono precisi tratti fisici e atteggiamenti ben definiti, che ovviamente non andremo adesso ad approfondire ma su cui è possibile lavorare attraverso un processo di autoconsapevolezza del corpo e delle sue tensioni.

Quale rapporto esiste, allora fra queste premesse e la dipendenza affettiva? Partiamo dal presupposto che per dipendenza affettiva si intende la bramosa ricerca di una relazione affettiva e di  tutto ciò che  ne consegue. La ricerca di una profonda gratificazione attraverso la relazione che arriva a definirsi come bisogno di legame nei confronti del partner e quindi ad una forma di dipendenza sulla quale investire molte energie personali.

Ne consegue una possibile difficoltà nel riuscire a differenziare i propri bisogni da quelli dell’altra persona. Gli obiettivi e le passioni personali si spengono innanzi all’ansia che l’altro possa distaccarsi, disinteressarsi o comunque non confermare il proprio esserci come membro della coppia dal quale dipendere. L’altro diventa il fine indiscutibile ed il suo compito è quello di soddisfare sempre di più le richieste affettive, come se dovesse confermare continuamente il proprio amore al partner.

Come riuscire a tarare la propria bussola emotiva in modo da non attivare relazioni affettive disfunzionali?
Al centro di tutto questo c’è il rischio della perdita della propria libertà e, per riacquisirla, occorre rimettere al centro sé stessi anziché il controllo dell’altro, fidarsi di quel che si prova anziché cercare risposte rassicuranti dal partner, riorientare la propria assertività anziché vivere nel terrore che, se si è sé stessi, l’altro possa andarsene perché non sufficientemente gratificato.

Alcune pratiche bioenergetiche possono venirci incontro. Propongo qui alcuni esercizi:

  1. Con i piedi paralleli, le ginocchia leggermente flesse è possibile battere alternatamente i piedi cercando di rendere il gesto di “presenza e conferma di sé” sempre più convincente, riarmonizzando il respiro e rendendolo progressivamente più profondo ed incisivo nella sua espressione.
  2. Dopo una trentina di ripetizione aggiungere l’espressione a voce alta “IO”, colpendo sul petto a mano aperta come a voler rimettere al centro del proprio vissuto la presenza di sé anziché quella dell’altro. Continuare a farlo colpendo a terra con il piede e la mano sul petto per altrettante volte, alternando mano e gamba.
  3. Spingere e tirare a sé. Questo esercizio, da fare anche in coppia con un altro praticante (spingendo le braccia di un compagno o provando a resistere quando l’altro ci porta a sé tirandoci per le mani), serve per testare la capacità di essere assertivi, di agire in conformità con il desiderio. Spesso le mani e le braccia scariche indicano la capacità di non riuscire ad interagire con la realtà esterna in maniera adeguata per il proprio vantaggio e benessere. Non riuscire a prendersi lo spazio o afferrare ciò che sentiamo importante per noi stessi e, allo stesso tempo, a non allontanare da noi l’altro (inteso come idea o sensazione paralizzante, non salutare o comunque troppo nociva), indica chiaramente come sia insita la convinzione che i bisogni dell’altro (o degli altri) abbiano priorità sui nostri.
    Provare a tirare verso di noi un tronco di albero, allenarsi a spingerlo via, provare a stringere forte un asciugamano, digrignando anche i denti in segno di espressione di rabbia, possono aiutare a prendere confidenza con la nostra assertività e capacità di orientare la rabbia in modo da rendere i nostri atti coerenti con il desiderio (spesso sopito dall’illusione del dover preservare l’altro concedendogli ogni priorità).
  4. Respirare cedendo: dopo l’espressione dell’assertività, lasciare andare braccia e gambe come se venissero scosse in modo togliere via tutto quanto possa essere rimasto ancora attivo, in termini di resistenze, rigidità o tensioni.

Andrea Guerrini

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