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Accostare lo yoga e l’arrampicata può apparire verosimile a molte persone, nell’idea che si tratti di due discipline con un obiettivo comune, quello di esplorare i limiti ultimi del corpo.
Ad altri, invece, comparare uno sport a una disciplina spirituale, con la pretesa che abbiano qualcosa da condividere, può sembrare una bestemmia.
Per altri ancora, probabilmente la maggioranza, lo yoga non è nient’altro che un valido mezzo per diventare più flessibili e tonici, per respirare meglio e concentrarsi… e quindi ottenere molti benefici ai fini della prestazione sportiva.
Eppure, tutti questi punti di vista si basano su una visione superficiale e stereotipata, sia dello yoga che dell’arrampicata stessa!

Parlare d’arrampicata significa senza dubbio considerare un’attività sportiva a tutti gli effetti, come anche testimoniato dall’approdo di questa disciplina alle Olimpiadi di Tokyo 2020. L’arrampicata ha avuto un boom di praticanti in quest’ultima decina di anni, soprattutto grazie allo sviluppo di imponenti strutture indoor metropolitane che hanno permesso a un gran numero di persone di avvicinarvisi.
Un analogo boom ha caratterizzato la pratica dello Yoga, sebbene anche in questo caso sia per lo più considerata come una disciplina essenzialmente “fisica”, incentrata sull’esecuzione di Asana e Vinyasa e in cui ricercare l’estremismo nelle forme realizzabili con il corpo.
Entrambe queste tendenze, tuttavia, pur contribuendo alla diffusione di queste magnifiche discipline, non rendono onore alla profondità che entrambe hanno, rischiando di stravolgerne il vero significato.

Lo yoga, nella sua autentica natura spirituale, vede nel corpo il primo substrato del nostro essere, un ricettacolo materiale che ospita la nostra coscienza e che per questo deve essere mantenuto puro e sano. Dalla salute del corpo fisico, lo yoga (nell’ambito del Raja Yoga di Patanjali) vuole poi condurci molto più in là, in un cammino che porta alla meditazione e all’evoluzione spirituale.

Nonostante l’arrampicata possa apparire solo come uno sport dall’elevato impegno fisico, è altrettanto vero che la sua origine primigenia è da ricercare sulla roccia, in uno strettissimo contatto con la Natura anche nei suoi lati più impervi e avversi. Proprio in questa forte connessione con la natura, nel cercare con essa una connessione mentre si affrontano i propri limiti fisici e mentali sta quella chiave con cui trasformare l’arrampicata in un’esperienza potenzialmente “yogica”.

Fin dagli anni ‘60 e ‘70, quando l’arrampicata ha iniziato quel percorso con cui si è gradualmente discostata da una concezione unicamente alpinistica per evolvere anche in un’ottica più sportiva, molti illustri scalatori hanno sottolineato come questa disciplina potesse aprire canali più sottili, esplorando già allora le affinità con diverse pratiche orientali, yoga incluso!
Trovare un intimo contatto con la roccia, affrontare i limiti del corpo, calarci nel singolo istante in cui dovremo tirare sulla punta delle dita o caricare i piedi su appoggi minimi, affrontare le nostre paure e ansie, ricercare quel flusso in cui mente e corpo sono lì, connessi, osservatori distaccati di ciò che proviamo movimento dopo movimento… Tutto ciò può diventare davvero un’immersione completa nel “qui e ora”, un “flow” in cui stiamo vivendo nient’altro che un momento di meditazione attraverso il nostro movimento lungo la roccia!

In questo contesto, l’arrampicata trova quindi una diretta correlazione con il Vinyasa Yoga, sia nella forma codificata da Krishnamacharya e Pattabhi Jois, che in una forma più libera ma sempre basata sulla ricerca di una connessione tra corpo, respiro, flusso e presenza mentale come cammino per andare oltre, seguendo l’ideale percorso tracciato da Patanjali.
Nel Vinyasa Yoga andiamo infatti a utilizzare il nostro corpo come uno “strumento di meditazione”, spingendolo ai limiti proprio per rendere stabile e silenziosa la mente, muovendoci in connessione con il respiro, ricercando quel flusso di presenza nel “qui e ora” che, proprio nell’osservazione distaccata di ogni attimo, ci permette di rendere la pratica un potente mezzo per esplorare anche la nostra coscienza.
Cosa c’è di diverso quindi dall’arrampicata?

Solo la forma, la modalità esteriore con cui usiamo il corpo, ma per il resto, nella loro essenza, queste discipline non sono altro che una stessa e potente espressione dello Yoga!
In entrambe, chiaramente ciò accade solo se siamo consapevoli di quali sono le vere finalità dello yoga e se quindi abbandoniamo quelle aspettative e il culto del successo materiale che troppo spesso hanno generato gli stereotipi menzionati all’inizio di questo articolo.
In arrampicata, questo non è un approccio che tutti sono pronti ad accettare, anche perché, nella sua componente sportiva, inevitabilmente è un’attività in cui le finalità possono anche essere limitate al conseguimento di un risultato, alla vittoria di una gara, alla riuscita su una via di una certa difficoltà. Tuttavia, così facendo ci si perde quel qualcosa che in arrampicata è sempre stato presente, quell’antico e archetipico significato di “ascesa” come elevazione della propria coscienza e che in tutte le culture ha sempre visto nella montagna e nell’affrontare pareti impervie la rappresentazione della tendenza dell’uomo verso il Divino.

Questa prospettiva “yogica” dell’arrampicata è ostica per buona parte dei climber. Infatti spesso essi rifuggono da considerazioni spirituali, preferendo rifugiarsi nella sicurezza della ricerca di un risultato tangibile, che, per quanto possa richiedere dedizione, una volontà forte e grande impegno per essere conseguito, permette di restare sempre nella “comfort zone” di ciò possiamo tenere sotto controllo in noi stessi. Per questo stesso motivo, molti climber che si avvicinano allo yoga tendono a importarvi la mentalità da “prestazione” dell’arrampicata, trasformando così la pratica in una corsa alla realizzazione di asana sempre più avanzati, visti come l’unico traguardo. Per un’altra larga parte della comunità arrampicatoria, l’interesse nello yoga è effettivamente motivato dalla volontà di migliorare le proprie prestazione o unicamente dal suo utilizzo come tecnica complementare di allenamento. Tuttavia, cresce gradualmente anche il numero di coloro che inizia a percepire come questa disciplina possa diventare un’occasione di crescita personale, che coinvolge il nostro essere su tutti i suoi livelli, fisici e sottili. Tempo al tempo…

Nel promuovere una maggior consapevolezza del ruolo che lo yoga può giocare in relazione all’arrampicata (così come qualunque altro sport), un compito fondamentale è rivestito dagli insegnanti, siano essi arrampicatori oppure no. Fintanto che, con l’obiettivo di rendere accattivante e commercialmente di successo una disciplina così complessa, lo yoga verrà presentato unicamente come una prestazione fisica o come uno strumento dal magico effetto per l’arrampicata, allora non si farà altro che fomentare ulteriormente l’approccio materialistico e consumista che troppo spesso caratterizza questa attività.
Se invece si saprà far intuire come la coscienza di sé che lo yoga insegna possa essere riscoperta nell’arrampicata, allora si promuoverà la giusta consapevolezza di come essa stessa sia già, nella sua essenza, una potente e meravigliosa forma di yoga!

Testo e fotografia di Alberto Milani
Arrampicatore, insegnante di yoga e istruttore d’arrampicata.
Autore del libro “Yogarrampicata” – Edizioni Versante Sud

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