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“Anche se qualcosa non si vede, non è detto che non esista”. Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa frase per ascoltare o spiegare a qualcuno emozioni o sensazioni che andavano aldilà di ciò che la nostra mente razionale ha la capacità di comprendere.

In un momento più o meno definito della nostra vita ci siamo trovati seduti sulla panchina di un parco, o lungo la riva di un fiume. Abbiamo sentito il cinguettio degli uccelli, il vento che ci sfiorava i capelli, scheletri di foglie che cadevano dagli alberi danzando, fino a rovinare sul marciapiede o sul fluire dell’acqua. Abbiamo sentito un’emozione, qualcosa che assomigliava a una forza nascere dentro di noi, inerpicarsi dal coccige fino alla sommità del capo. Ci siamo sentiti parte di qualcosa, abbiamo sentito un legame e siamo diventati consapevoli che di quella cosa ci facevamo parte anche noi.

Non sapremo descrivere quella sensazione con parole comuni o se potessimo farlo, non gli renderebbero comunque onore. Eppure quel qualcosa esiste, poiché ne vediamo gli effetti, vediamo il suo karma – la sua azione: quella sensazione di completezza che alberga dentro di noi. Non sappiamo da dove provenga, ma la sentiamo: e se la sentiamo qualcosa deve averla creata anche se non sappiamo cosa sia.

Da quando ho cominciato a studiare Ayurveda e ad addentrarmi in uno dei testi più criptici e affascinanti del panorama vedico – il Samkhya – buona parte della concezione di ciò che vedo – e soprattutto di ciò che non vedo – è completamente mutata.
E ha dato valore a ciò che penso sin da piccola: se una cosa non si vede non è detto che non esista.

Se qualcosa esiste è perchè qualcos’altro l’ha provocata: un modo forse poco romantico di suggerirci che la nostra vita è più o meno una sequenza concatenata di eventi karmici di causa-effetto. Ma non solo, il Samkhya, nella sua versione più antica, del tutto atea (non prevede un Dio all’origine del tutto), ci dice che l’effetto preesiste nella causa e usa questa bellissima storia del Karma e della legge causa-effetto per spiegare la Natura e la Creazione. E ovviamente anche la nostra origine che – mi spiace deludere qualcuno – ha proprio poco di idillico.

Se c’è qualcosa è perchè qualcos’altro l’ha provocata, e quel qualcosa era già dentro quel qualcos’altro fin dall’inizio. Detto in modo semplice: nell’argilla c’è già il vaso o, quantomeno, la sua potenzialità di esistere.

E il Samkhya usa questa legge karmica molto semplice, ma estremamente affascinante per dirci, in sostanza, che lassù qualcosa che ci ha creati esiste ed esiste perché ne vediamo gli effetti e noi stessi siamo effetti di quella cosa.

Pensate alla Natura e alle forze che governano le stagioni. Assistiamo immobili e inerti di fronte alla potenza di un cambiamento perpetuo: scheletri di foglie che cadono per tornare a germogliare lucide, vivide e carnose qualche mese dopo. Assistiamo al soffio della vita che se ne va e a quel prana che riemerge in un altro corpo fisico, magari nello stesso istante.

Secondo il Samkhya originario, tutto il mondo reale e manifesto che chiamiamo Prakriti, si muove governato da questa legge di causa-effetto, dove ogni movimento – che sia estremamente materiale o più sottilmente energetico (come i nostri pensieri) – produce un effetto. E che se vediamo o percepiamo qualcosa, quel qualcosa era già insito nella causa che l’ha generato. Che nulla si crea per caso, ad esempio. Il che ci porta un po’ a rivedere quelle che sono le nostre posizioni sul fato e su ciò che chiamiamo destino. L’avevo detto che poteva esserci poco di romantico.

Ma ci fa comprendere anche cosa intendiamo per anima. E ci dice che l’anima esiste perchè ne possiamo vedere gli effetti, anche se non riusciamo a percepirla con i nostri sensi.

Spesso associamo l’anima a qualcosa di molto materiale, alla nostra mente, ai nostri pensieri o alle nostre emozioni. E pensiamo che questo cocktail di percezioni ci accompagni nella vita che vivremo dopo la morte o che ci abbia accompagnato nelle vite precedenti. Tutto questo pathos emotivo tuttavia è solo frutto della nostra mente e, sempre secondo i rishi vedici, destinato a restare insieme al corpo, qui sulla Terra, senza trasmigrare in virtù del karma in vite successive.

Secondo il Samkhya l’anima è qualcosa di molto più ‘asettico’ e decisamente slegato dalle nostre passioni e dai nostri sentimenti ed è qualcosa che si avvicina decisamente di più alla concezione di Purusha, dell’Osservatore. Ognuno di noi ha il proprio personale purusha: io me lo immagino come un omino trasparente, di medie dimensioni, che mi abita e che mi guarda. Non sono esattamente io, quando di solito, quell’Io è frutto solo della nostra mente e non di ciò che siamo realmente.

Ecco, la nostra anima, è quello che nello Yoga chiamiamo l’Osservatore Interno, quello spettatore che sentite spesso evocare dal vostro insegnante in Savasana, mentre siete distesi a terra nella posizione del rilassamento, e che vi spinge a staccarvi dalla vostra mente per assistere allo spettacolo di voi stessi, delle vostre percezioni, delle vostre passioni.

Non c’è giudizio in quello spettatore, non c’è azione: se ne sta lì immobile a guardare ciò che accade. Ci guarda penare per l’amore di un fidanzatino non corrisposto, gioire di fronte a un tramonto, leccarci i baffi nel gustare una pizza, piangere per non essere riusciti a ottenere quel posto di lavoro che tanto sognavamo. Ed è quell’Osservatore, che nulla ha a che fare con la nostra mente e i nostri patemi a trasmigrare, ad accompagnarci di vita in vita.

Sappiamo che questo Purusha esiste anche se non lo vediamo perchè questa meravigliosa danza che chiamiamo vita dovrà pur essere vista da qualcuno, no? Che senso avrebbe uno spettacolo senza spettatori? Che scopo avrebbe la vita di una danzatrice se non quello di essere guardata mentre danza?

Anche nello Yoga sentiamo spesso parlare di Danza, la Danza della Vita o la Danza di Shiva, questo vortice che si muove e al quale noi facciamo parte. Secondo i rishi vedici questa danza esiste per essere guardata e a guardare è proprio quel Purusha, quell’Osservatore primordiale di cui ognuno ha un piccolo pezzo dentro di sè.

In una versione forse poco romantica della nostra Realtà, il Samkhya ci suggerisce anche quanto valore hanno, seppur in questa vita terrena, i pensieri che abbiamo, i quali – al pari delle azioni, in virtù del karma – producono effetto.

E allora acquista improvvisamente senso quella vocina che ci dice che «se ci crediamo veramente le cose accadono». Alla pari dei nostri gesti, alla pari del vaso contenuto nell’argilla, anche i nostri pensieri producono degli effetti, che lo vogliamo o no.

E questo può essere davvero meraviglioso.

Valentina Ferrero

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2 thoughts on “Karma: Le cose esistono anche se non le ‘vediamo’

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