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Tempo di lettura:6 minuti, 14 secondi

Durante le mie più o meno lunghe Savasana mi capita spesso di suggerire ai miei studenti di ‘prendere le distanze dalle loro emozioni, di osservarle, ma di non definirsi all’interno di quell’emozione’. Insomma, di non credersi per forza, socievoli, depressi, ansiosi, appassionati, paurosi e via discorrendo. Che oltre alle emozioni siamo ‘di più’. Chi ha fatto Yoga almeno un paio di volte, avrà di certo sentito questa frase dal proprio insegnante.

Un giorno, al termine della pratica, una ragazza mi ha detto: “Scusami, ma se non posso neppure emozionarmi, cosa mi resta nella vita?”.
L’ho guardata un po’ spiazzata: ho avuto come l’impressione – per un istante – che tutti i dogmi costruiti in anni di studio, tra pranzi conditi con i sutra di Patanjali e ritiri spirituali in casolari in mezzo al verde, si frantumassero a terra. Ho vissuto per tanto tempo cibandomi solo di emozioni, come gli insetti xilofagi fanno con la corteccia degli alberi. Ancora oggi, nei momenti in cui perdo il tracciato del mio sentiero, vengono tentata da quelle emozioni forti che, praticamente sempre, hanno lasciato solo danni nel mio cuore e nella mia mente. Ho guardato la ragazza: il sole filtrava tra i suoi capelli biondi, rendendoli quasi dorati. Attendeva una risposta da me, come se potessi dirle qualcosa che le avrebbe cambiato il modo di vedere la sua realtà. Per un momento ho tentennato e poi ho pensato che se entrambe avessimo continuato a vedere la realtà con le lenti della nostra mente, non avremmo mai potuto risolvere l’enigma.
“Siamo ancora nella sfera della nostra mente se pensiamo che le emozioni siano il sale della vita, ma lo Yoga ci suggerisce di andare oltre la nostra mente”, le ho risposto.
Non lo so se mi abbia capito, ma credo fermamente che per comprendere alcuni concetti che lo Yoga ci tramanda da millenni, dobbiamo uscire dal seminato della nostra dimensione mentale.

La mente è ancora materia, così come i suoi prodotti: le emozioni. Fanno parte della dimensione materiale. Anche se non riusciamo a vedere la nostra mente, non significa che non faccia parte della dimensione materiale.
Pensate che sono talmente materiali, le nostre emozioni, che possono essere modificate arbitrariamente con l’utilizzo di sostanze stupefacenti, farmaci e iniezioni di ogni sorta. Molti cibi hanno effetti reali e dimostrati sulle nostre emozioni e, se assunti in modo costante, possono modificare totalmente il nostro atteggiamento nei confronti della vita e della realtà. Le emozioni sono molto più ‘materiali’ di quello che crediamo.

E come sappiamo tutta la materia è impermanente, soggetta a mutamento, trasformazione. Definirci sulla base di un’emozione, oltre a essere irreale, ci limita nella possibilità di essere qualcosa di diverso, magari molto più sereno e divertente dell’idea e dello schema in cui ci siamo testardamente incaponiti.
Lo Yoga ci dice che siamo infinito, che siamo coscienza universale, che siamo quella pace che a volte, anche solo per millesimi di secondo, riusciamo ad esperire durante la meditazione, quando la nostra mente è ritirata, quando i sensi sono ridotti al minimo delle loro potenzialità. Più informazioni diamo alla nostra mente, attraverso i nostri sensi, più la nostra mente costruisce idee, pensieri, emozioni che non esistono nel momento presente. Ma pur inesistenti, riusciamo ad attaccarvici, condizionando completamente le nostre azioni. Sulla base del nulla.

Ed è per questo che il Pratyahara, il ritiro dei sensi, è fondamentale per allenare la nostra mente a non lasciarsi colpire indiscriminatamente da qualsiasi informazione recepiscano i nostri sensi. Il Pratyahara è duplice. Comporta il ritiro dal cibo sbagliato, dalle impressioni sbagliate e dalle associazioni sbagliate, aprendosi contemporaneamente al cibo giusto, alle impressioni giuste e alle associazioni giuste. Non possiamo controllare le nostre impressioni mentali senza una dieta e relazioni corrette, ma l’importanza principale di pratyahara sta nel ritiro o nel controllo delle impressioni sensoriali, che libera la mente di muoversi all’interno. Ritirando la nostra consapevolezza dalle impressioni negative, pratyahara rafforza i poteri di immunità della mente. Proprio come un corpo sano resiste alle tossine e agli agenti patogeni, una mente sana resiste alle influenze sensoriali negative che la circondano.

“Senza le emozioni cosa mi rimane?”. Beh, in questa dimensione le emozioni sembrano essere la più preziosa merce di scambio, ciò che ci rende vivi. Appunto, vivi in questa dimensione (anche se su questa affermazione continuo ad avere molti dubbi). Ma lo Yoga ci dice qualcosa di molto più straordinario: che la nostra essenza reale non si esaurisce con questa dimensione, ma oltrepassa le dimensioni di tempo e di spazio.

Analizzando uno dei testi più antichi e belli della dottrina indiana, il Brahamasutra, si evince come ognuno di noi sia, nella sua Essenza primordiale e principale, Brahaman. Brahaman è il Sè (atman) di ogni cosa. Esso è essenzialmente eterno (nitya), puro (suddha), intelligente (buddha), libero (mukta), onniscente e onnipotente. I termini che meglio sintetizzano sono Esistenza, Conoscenza-Coscienza. Secondo i commentatori come Sankara, la conoscenza del Brahaman non dipende dalle pratiche rituali. Il Brahaman, essendo eterno, non è subordinato all’azione dell’uomo. E’ sufficiente discriminare tra ciò che è eterno e ciò che non lo è, distaccarsi dai piaceri, realizzare la quiete, l’autocontrollo e aspirare alla liberazione. Questa discriminazione viene, però, minata da tutte quelle limitazioni mentali che ci impediscono di cogliere la Realtà e che costituiscono gli effetti dell’ignoranza.
Ciò che lo Yoga ci permette di fare in questa dimensione è allenare la nostra capacità di essere presenti nell’istante, senza oscillare nel passato o nel futuro, alla ricerca di emozioni del tutto irreali – perchè già passate o ancora da verificarsi.

Emozionarsi davanti a un tramonto è una delle gioie più belle di questa dimensione. Noi siamo quel tramonto, siamo i raggi del sole e l’acqua sulla quale il sole si riflette. Non dobbiamo eliminare queste emozioni dalla nostra vita. Ma se abbiamo bisogno, ogni sera, di guardare un tramonto per sentirci in pace con noi stessi e felici, forse c’è qualcosa che nella nostra vita non funziona.
Siamo Atman.

Credo che il Pratyahara, uno dei sadhana meno conosciuti e meno praticati dello Yoga, sia la chiave per accedere a una sorta di beatitudine terrena che ci avvicina al Divino e quindi il cuore vero della pratica dello Yoga. Allenare i nostri sensi a filtrare e recepire solo le informazioni sane ed equilibrate, permette di introdurre prana positivo e luminoso nel nostro essere. Una pratica dove il nostro sguardo è rivolto solo all’esterno e non si dirige dentro di noi, è una pratica fisica, prima del senso vero dello Yoga: l’ascolto, l’osservazione e la connessione con il proprio Sè, l’Atman.

Un metodo di ritiro dei sensi consiste nel mantenere gli organi di senso aperti, ma nel ritirare l’attenzione da essi. In questo modo smettiamo di recepire le impressioni senza chiudere realmente gli organi di senso. Il metodo più comune, shambhavi mudra, consiste nel sedersi con gli occhi aperti e dirigere l’attenzione all’interno, una tecnica utilizzata in diversi sistemi di meditazione buddista. Questo reindirizzamento dei sensi verso l’interno può essere fatto anche con gli altri sensi, in particolare con l’udito. Ci aiuta a controllare la mente anche quando i sensi sono in funzione, come nel corso della giornata.

Creare impressioni positive. Un altro mezzo per controllare i sensi è creare impressioni positive e naturali. Ci sono diversi modi per farlo: meditare su aspetti della natura come alberi, fiori o rocce, visitare templi o altri luoghi di pellegrinaggio, che sono depositari di impressioni e pensieri positivi. Si possono creare impressioni positive anche utilizzando incenso, fiori, lampade di ghee, altari, statue e altri manufatti di culto devozionale.

Valentina Ferrero

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