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Nello Aparokṣānubhūtiḥ, un testo medioevale attribuito a Śaṅkarācārya, c’è un versetto bizzarro, il 120, in cui si legge, più o meno:

[…] L’illuminato sa cosa è l’autentico prāasayama, mentre l’ignorante non fa altro che torturarsi il naso.

A parte il tono che, per il metro di giudizio odierno appare assai poco “yogico” – l’aggressività e il sarcasmo di Śakara erano proverbiali – è interessante l’uso della parola prāasayama in luogo di prāāyāma.

Nei testi medioevalie in quelli più tardi, come lo Hahayogasahitā risalente al XVII secolo – prāāyāma, prāasayama, e un terzo termine oggi meno comune, prāasarōdha, sono considerati sinonimi e vengono usati indifferentemente – ora l’uno, ora l’altro – per indicare delle pratiche inerenti al respiro, ma se si esaminano con attenzione si vedrà che hanno significati affatto differenti:

  • Prāāyāma è la forma sandhi di prāa ayāma e significa letteralmente “estendere/estrarre il prāa”;

  • Prāasayama, che è formato dalle parole prāa e sayama, significa letteralmente “controllare, tenere insieme, legaresa-yama – il prāa;

  • Prāasarōdha infine significa letteralmente “bloccare, impedire, ostruire il [flusso del] prāa.

L’ipotesi che, in origine, con le parole prāāyāma, prāasayama e prāasarōdha si indicassero pratiche diverse con fini e modalità diverse è tutt’altro che stravagante, ma non credo sia importante approfondire l’argomento in questo ambito; ciò che potrebbe rivelarsi fondamentale è invece analizzare il significato di prāa: siamo sicuri che le pratiche di “estensione, controllo e blocco” del prāa siano tecniche respiratorie?

Cominciamo con il definire “prāa”, vocabolo che assume significati diversi a seconda dell’ambito in cui viene collocato:

  • In termini filosofici prāa è in genere inteso come prāa-śakti, l’energia vitale che tutto permea e che, nell’essere umano, facendo da tramite tra mente e corpo, permette il vario dispiegarsi di emozioni ed azioni;
  • Nello Āyurveda e nello Haṭhayoga è sinonimo di vāta1 ed indica sia l’insieme dei cinque vāyu considerati upadoa – ovvero “sotto funzioni” – di vāta doa2 composto da Aria e Spazio, sia uno specifico vāyu – detto appunto prāa vāyu – responsabile delle percezioni e dei movimenti di ogni tipo, dell’attività respiratoria, della deglutizione del cibo, della conversione del respiro in forza vitale ecc.
  • Nel Jyotiṣa3 con la parola prāa si indica l’unità di tempo utilizzata nei riti corrispondente più o meno a quattro secondi4. Un prāa rappresenta un ciclo completo di respirazione ed un giorno è composto da 21.600 prāa, ovvero 21.600 cicli respiratori.

Dato che né il prāa inteso come prāa-śakti, né il prāa inteso come misura del tempo rituale sembrano essere, in genere, modificabili, si può ragionevolmente supporre che gli esercizi finalizzati a “estendere, controllare o bloccare” il prāa riguardino gli upadoa di vāta; Gli upadoa di vāta sono riferibili solo in minima parte al respiro ordinario per cui sorge il dubbio che il prāāyāma, il prāasayama e il pasarōdha descritti nei testi medioevali siano qualcosa di diverso dagli esercizi proposti ai nostri giorni nella maggior parte dei corsi e delle scuole di Yoga.

Se poi ci affidiamo ad un buon dizionario di sanscrito – come, ad esempio, il Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary – il dubbio diviene certezza.

Cosa si dice e scrive nelle classi di Yoga a proposito delle fasi respiratorie?

  • L’inspirazione viene detta pūraka;
  • L’espirazione viene detta recaka;
  • L’apnea viene detta kumbhaka.

Giusto?

In realtà le cose sono un po’ diverse (se sbaglio ovviamente sono gradite le correzioni5):in sanscrito “inspirazione” non si dicepūraka, ma आनāna oअनana; “espirazione” non si dice recaka ma पानpāna oएतनetana; “apnea” non si dice kumbhaka, ma श्वासरोधśvāsarodha.

पूरक pūraka letteralmente indica l’atto di “riempire”, “completare”, “soddisfare” – e quindi come “inspirazione” ci potrebbe anche stare – ma se cerchiamo il  significato ,per così dire, in “gergo yogico”, ovvero l’uso che se fa nei testi filosofici e nei manuali pratici, vedremo che significa (1) Flusso6; (2). Palla di cibo offerta alla fine di particolari cerimonie;

Raramente, secondo Monier-Williams (a quanto mi è dato di capire) pūraka può anche indicare una «pratica yogica che consiste nel chiudere la narice destra con un dito e quindi aspirare aria attraverso la sinistra, poi nel chiudere la narice sinistra e aspirare attraverso la destra».

रेचकRecaka, che letteralmente significa “purga”, “svuotamento”, “spurgo”, “catartico” (quindi ci potrebbe anche stare, in senso lato, “espirazione”) si trova nei testi classici con i significati di (1)Siringa(uno strumento simile al “flauto di Pan”)7;(2) Come sinonimo di bhramaṇa, “girare in tondo”, “rivoluzione”, “orbita (di un pianeta)”8; (3) un particolare passo di danza o un particolare movimento del piede9.

Nella अमृतबिन्दु उपनिषद् amṛtabindu upaniṣad la parola indica specificamente «uno dei tre prāṇāyāma eseguiti durante saṃdhyā che consiste nell’emettere il respiro da una sola narice».

कुम्भक Kumbhaka infine significa (1) pentola; (2) base della colonna; (3) parte prominente del cranio dell’elefante, ma in alcuni testi “tecnici”, come il वेदान्तसार vedāntasāra, kumbhaka è usato anche nel senso di «fermare il respiro chiudendo la bocca e chiudendo le narici con le dita della mano destra».

In definitiva potremmo affermare che  pūraka, recaka e kumbhaka non corrispondono esattamente a inspirazione, espirazione e apnea, ma hanno ulteriori significati che potremmo definire “alchemici”.

Così come le parole prāāyāma, prāasayama e pasarōdha non indicano specificamente una ginnastica respiratoria, ma una serie di pratiche o meglio, riti, da eseguire durante i crepuscoli (sadhyā) del mattino (alba), del mezzogiorno (il passaggio dal mattino al pomeriggio) e della sera (tramonto). Riti che riguardano non solo la sospensione del respiro, ma il controllo, l’estensione o il blocco non solo di prāa vāyu o di tutti i vāyu che scorrono nelle dieciī principali10; controllo, estensione e blocco grazie ai quali praticante otterrebbe dei poteri psichici, siddhi, e in ultima analisi, la realizzazione, qualunque cosa si intenda nello Yoga con questa parola.

Cosa è quindi veramente il prāāyāma (e/o prāasayama e/o pasarōdha)?

Credo che per scoprirlo dovremmo affidarci ai testi tradizionali, come lo Aparokṣānubhūtiḥ di cui parlavamo all’inizio; Śakarācārya descrive il prāāyāma in tre versetti, 118, 119 e 120 che forse non sono chiarissimi, ma sicuramente faranno riflettere (N.B. La traduzione è mia, ma metto in nota il testo originale per dar modo di controllare ed eventualmente di correggere):

118. Viene detto prāāyāma la sospensione/controllo di tutte le modificazioni della mente che si ottiene considerando i vari stati mentali quali [ad esempio] citta, come fossero il Brahman.11

119. La soluzione del mondo fenomenico è chiamata recaka. Il pensiero “in verità io sono il Brahman” viene detto puraka.12

120. La stabilità in quel pensiero [“in verità io sono il Brahman”] è detta kumbhaka. Per l’illuminato è questo l’autentico prāasayama, mentre l’ignorante non fa altro che torturarsi il naso.13

Paolo Proietti

NOTE

1 वात vāta è il participio passato della radice verbale “va”. Si può tradurre con “soffiato”, ma prende il significato di: soffiato, vento, aria in movimento, ed è uno dei nomi del dio del vento. In questo versetto lo potremmo considerare un sinonimo di vāyu inteso come soffio vitale.

2 Vāta è uno dei tre doṣa – vāta, pitta e kapha – gli elementi “fisici” responsabili dell’omeostasi e di tutte le funzioni fisiologiche dell’essere vivente. I tre doṣa sono formati dai mahābhūta – i cinque elementi – e rappresentano in un certo senso la “forma” grossolana dei tre gua chiamati rajas, sattva e tamas e delle tre “energie della vita” che ne derivano, ovvero:

  • Prāṇa (inteso come insieme dei soffi vitali);
  • Tejas (“luminosità”, “energia radiante”);
  • Ojas (“fluido vitale”).

3 La parola Jyotia (ज्योतिष, “astronomia”) si riferisce a una delle sei divisioni dei testi Vedāṅga, un tipo di scrittura – Śāstra – classificata come apaurūeya, ovvero scrittura “ortodossa” non di origine umana.

4 Questa è la classificazione del tempo rituale:

  • 1 prāa= 4 secondi;

  • 1 vināikā=6 prāṇa (24 secondi);

  • 1 ī=60 vināḍi (24 minuti);

  • 1 muhūrta=2 nāī (48 minuti);

  • 1 yama= 3,75 muhūrta (180 minuti, 3 ore);

  • 1 ahorātra=8 yama (1440 minuti, 24 ore)

5 paoloproietti.rnk@gmail.com

6 Fonte: Bhāgavata Purāa.

7  Fonte: Bhāgavata Purāa.

8 Fonte: Mahābhārata.

9  Fonte: Viṣṇu Purāa.

10 Vedi Goraka Sahitā 1.25-36.

11 चित्तादिसर्वभावेषु ब्रह्मत्वेनैव भावनात्।

निरोधः सर्ववृत्तीनां प्राणायामः स उच्यते।।118।।

Cittādisarvabhāveṣu brahmatvenaiva bhāvanāt.

Nirodhaḥ sarvavṛttīnāṃ prāṇāyāmaḥ sa ucyate. 118.

12 निषेधनं प्रपञ्चस्य रेचकाख्यः समीरणः।

ब्रह्मैवास्मीति या वृत्तिः पूरको वायुरीरितः।।119।।

Niṣedhanaṃ prapañcasya recakākhyaḥ samīraṇaḥ.

Brahmaivāsmīti yā vṛttiḥ pūrako vāyurīritaḥ. 119.

13 ततस्तद्वृत्तिनैश्चल्यं कुम्भकः प्राणसंयमः।

अयं चापि प्रबुद्धानामज्ञानां घ्राणपीडनम्।।120।।

Tatastadvṛttinaiścalyaṃ kumbhakaḥ prāṇasaṃyamaḥ.

Ayaṃ cāpi prabuddhānāmajñānāṃ ghrāṇapīḍanam. 120.

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