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E’ tutta gente folle quella che pratica lo yoga. No giuro, più sono in questo giro e più mi rendo conto delle infinite sfaccettature dell’essere umano che è su un impervio percorso di consapevolezza.
Iyengar ci propose nel suo commentario degli Yoga Sutra, una lecita e intuitiva domanda: “Perchè il primo Pada inizia con la discussione degli aspetti più sottili della coscienza?”
Ecco, il suo ragionamento non fa una piega. Si può supporre che i parametri intellettuali e la conoscenza spirituale fosse a un livello più raffinato di ora. Dunque anche tutta la ricerca interiore era più accessibile ai suoi contemporanei di quanto non lo sia per noi. Ma il lungimirante Patanjali, prevedendo un rapido declino delle abilità intellettive del genere umano, celermente compose il secondo Pada: “Sadhana Pada”. Qui introduce il Kriya yoga, ovvero le discipline necessarie per sviluppare una minima dose di consapevolezza e spiritualità.
Cito le testuali e rincuoranti parole di Iyengar: “Patanjali offre un metodo di pratica che inizia con gli organi di azione e i sensi di percezione, forse mosso a compassione per le persone intellettualmente meno avanzate, oppure in previsione dei limiti spirituali del nostro tempo”.
Grazie maestro, mi sento un po’ un lombrico. Siamo immersi fino al collo in un mondo pieno di stimoli e distrazioni e gli yoga sutra, ci danno una chiara e lucida lettura sui nostri stati e strati interni ci donano gli strumenti per navigare in questo immenso mondo, una bussola per ritrovare le finestre di casa.
Viviamo tra i klesha (afflizioni), kama (desideri), abhinivesa (paure), vrtti (moti della mente), samtosha (contentezza), isvara (fede), ma imparando a stare su questo tragitto ho compreso che la bellezza e la dannazione dell’essere umano è proprio questa.
E scegliere con estrema minuziosa cura ciò di cui vogliamo vivere è la nostra reale liberazione (Kaivalya).
Aleksandra Krawczyk
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