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Tempo di lettura:3 minuti, 35 secondi

Lo scorso anno me lo prestò un’amica dicendo: “fa ridere da matti, leggilo”.

Così presi in mano YOGA, recente romanzo di Carrère, che consumai rapidamente in una lettura bellissima e coinvolgente.

In verità, appena pubblicato pensai ora lo compro ma cambiai idea, senza motivo, forse per il titolo calamita che mi faceva pensare a qualcosa di troppo accattivante come a un accessorio di moda prêt-à-porter.

Lo lessi quasi interamente in spiaggia, all’ombra, dopo il bagno al mare di ogni mio giorno d’estate.

Col ghiacciolo nell’altra mano, mi capitava di nascondere il viso dentro al libro quando cominciava a commuovermi, onesto e spietato nella profondità emotiva, costantemente delicato nel cercare la verità nonostante le spine dell’ego. Certe volte ho pure riso, fregandomene di attirare l’attenzione del vicino d’ombrellone che ha sempre voglia di fare domande inutili.

La scrittura di Carrère introduce, dal principio, il grande tema delle definizioni, del significato proprio della meditazioneVipassana” e dello Yoga tutto. L’autore è cosciente di incontrare il paradosso di aggettivi e sinonimi, di osservare effetti e risultati da colare in concetti, per dare significato esplicito a certi momenti per natura fugaci e dunque difficili da catturare nelle parole. E’ consapevole di non poter fare a meno di essere anche uno scrittore e dunque, restando ciò che è, si immerge nella meditazione, osservando che “quello che vuoi afferrare ti sfugge nell’istante in cui vuoi afferrarlo” (p. 113, Adelphi 2021).

Pone a confronto l’attitudine dello scrittore e quella del meditante, apparentemente incompatibili in quanto lo scrittore deve osservare e fissare i propri pensieri, per poterli poi trascrivere, mentre colui che medita deve spazzare via i propri pensieri, senza giudicare ciò che avviene dentro di lui, come a mettere a tacere il commentatore interiore.

Il libro alterna frasi estatiche e spirituali a toni scanzonati e compassionevoli, insegnando a non vergognarci delle nostre miserie e contraddizioni. A cosa servirebbe farlo? Come poter essere altro da chi sei? Quale io dovremmo sfamare nascondendo noi a noi stessi?

Vero è che il nostro commentatore interiore esiste, come esistono le nuvole che transitano continuamente, quindi tutto ciò che possiamo fare è saperlo, dunque riconoscerlo quando blatera coi suoi teoremi, e certe volte riuscire gentilmente a fermarlo.

L’oscillare tra due poli, dice Carrère, è in fondo il moto perpetuo della vita e lo yoga diventa la risorsa per osservare con distacco questi due poli per come sono, senza ambiguità, per avvicinarli e tenerli insieme.

“La causa della nostra infelicità è l’ignoranza”

“Ignoranza è confondere la nostra mente con ciò che chiamiamo ‘io’. All’origine dell’infelicità c’è l’identificazione con questo ‘io”

“Allora dobbiamo chiederci: chi è in noi che dice ‘Io! Io! Io!”?

“Bisogna indagare in prima persona. Bisogna andare dentro di sé (…) la sola zattera che avete per compiere la traversata è il vostro corpo” (p. 96, Adelphi 2021)

Lo yoga può essere lo strumento per una fuoriuscita, per la liberazione da dogmi e suggestioni, dunque non ha ambizioni sui suoi praticanti e non vorrebbe si parlasse di sé in termini immaginifici e scivolosi. Piuttosto vorrebbe tappetini arrotolati che viaggiano fra le scapole, piedi radicati e respiri profondi.

“L’ultima cosa che vi si chiede è credere a qualcosa. Non credete a niente, provate, sperimentate” (p. 97, Adelphi 2021).

Lo yoga invita ognuno di noi a trovare la propria personalissima forma; nel caso di Carrère potrebbe essere, come gli ha suggerito l’amico, “imparare a scrivere con tutte e dieci le dita”.

Perché lo yoga insegna anche che ognuno di noi è tenuto a lavorare con la vita che ha a disposizione: alla fine la meditazione è fare ciò che fai, essere quello che sei, tutto qui. E la meditazione, strumento finalizzato a togliere l’inutile e pulire la mente concettuale, riporta a quel “è tutto qui” a quel “non aggiungere nulla”.

“Continui a non morire, ma non ci metti nessun entusiasmo. Non ci credi più . Sei convinto di non avere più niente da giocarti, e che non succederà più niente. Invece un giorno succede qualcosa (…)” (p. 311, Adelphi 2021).

“…perché il samsara altro non è che la vita e (…) la vita è bella” (p. 312, Adelphi 2021)

Dice Carrère: “La stanza è immutabile, ma noi siamo mutevoli” (p. 113, Adelphi 2021)

Raffaella Marini

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