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Foto di Angela Pesci

Ci sono luoghi che mi sembra di conoscere senza averli mai camminati. E l’India è uno di questi.

Il desiderio di esplorare questa terra con i miei occhi, con il mio corpo, con il mio respiro risale a tempi non sospetti. Ancor prima di avvicinarmi allo yoga ho sentito una connessione indescrivibile con l’India, come un magnete al centro del cuore. La voglia di sentirne i profumi, ascoltarne i suoni, vederne i colori, abbracciarne l’energia, viverne la solennità e l’austerità e forse si anche il caos, non dimentichiamocene.

L’India è per antonomasia la culla mondiale della spiritualità, oggigiorno uno dei paesi maggiormente in via di sviluppo economico, trasformandosi così nell’emblema di uno dei più grandi paradossi dei nostri tempi: una terra tra progresso e tradizione; rimanendo pur sempre un paese con una spiritualità molto presente, come sostiene lo storico inglese William Dalrymple nel libro ‘Nove vite‘.

I miei tentativi di approdare allo yoga sono stati svariati e molteplici e quando finalmente mi sono addentrata in questo mondo l’ho fatto con il Tao Yoga Coreano, una disciplina che affonda le sue radici in Corea per l’appunto, ma antica e radicata tanto quanto lo yoga tradizionale indiano, che solo più tardi è entrato a far parte della mia vita.

In realtà quello che ho sempre rifiutato nei miei primi approcci a questa disciplina, era proprio la mancata presenza della spiritualità, già allora lo yoga veniva presentato nella sua veste più fisica e acrobatica, ma sono altrettanto convinta, che lungo il mio cammino ho incontrato insegnanti, che in qualche modo non risuonavano con ciò che stavo cercando, abbandonando ogni colpa e merito di ciascuno.

La storia dello yoga è assai ingarbugliata, ancora oggi questa disciplina vive e viene vissuta in tutta la sua complessità, smembrandosi in diversi stili rivendicati da chi li pratica.

Credo che lo yoga possa in qualche modo permettersi di accogliere dentro di sé qualità così lontane ma al contempo così vicine, il cui confine a volte sembra davvero sottile altre più netto, ma che mira comunque ad unire.

L’India è un paese, dove tradizioni, religioni, filosofie, pensieri, colori, idee, riti si confondono, si amalgamano mantenendo comunque la propria identità e autenticità. Questo suo essere colorita in qualche modo ha impregnato le vie dello yoga, che è stato per secoli tramandato oralmente, da maestro a discepolo, di maestro in maestro, ciascuno arricchendolo con la propria esperienza, con il proprio sentire, con la propria essenza.

La leggenda racconta che Shiva, in una caverna, svela alla sua sposa Parvati i segreti dello yoga. Ad ascoltarli c’era Matsya, un pesce, che fece suoi gli insegnamenti di Shiva, praticandoli instancabilmente, mutandosi così in umano, diventando Matsyendra, il primo yogi, che iniziò a perpetuare questa pratica all’umanità.

Il mito ha dentro di sé una forza intrinseca e questa leggenda lascia emergere gli elementi fondamentali che ritroviamo in questa disciplina millenaria, svelando le profonde trasformazioni che l’essere umano può vivere e attraversare grazie allo yoga, ad un percorso certosino e di dedizione, che innesca quel processo di catarsi, di consapevolezza e conoscenza verso noi stessi.

Nello Yoga il mito è il protagonista che ritroviamo in ogni Asana, lavorando in profondità su aspetti del nostro corpo e della nostra psiche.

La Storia della nascita dello yoga ha delle voci contrastanti. Ci sono diversi studiosi che sostengono che lo Yoga sia nato in India intorno al 5000 a.C.; altri sostengono che le origine dello Yoga affondino in quella regione che oggi è conosciuta come Pakistan tra il 3000 e il 1800 a.C., presso le civiltà matriarcali di Quetta e più tardi di Harappa e Mohenjo, che vivevano nella Valle dell’Indo.

Le statuette di argilla ritrovate in quelle terre mostrano alcune posizioni Yoga che venivano praticate ai tempi. La religione dell’epoca di stampo dravidico basava il proprio culto sulla Dea Madre, identificandola con la fecondità e con la forza della natura, sul culto di Shiva, sugli alberi sacri, simboli fallici, vacche e cobra sacri. A questo periodo risalgono alcune rappresentazioni del dio Shiva in posizioni ‘yogiche’ per potenziare e sublimare le energie sessuali, che venivano associate al culto del principio maschile e di quello femminile.

Ma di questa civiltà pare che si siano perse le tracce con l’invasione degli Arii, che le hanno depredate e in questi tempi lo Yoga venne confinato, diventando accessibile solo alle caste sacerdotali all’interno di un sistema patriarcale.

I primi testi sacri che parlano di Yoga risalgono ai Veda, che provengono proprio dagli Arii.
Successivamente le Upanishad, dei poemi filosofici e mistici, scritti in sanscrito pronti ad esplorare la natura dell’anima, svelando l’intima connessione tra il microcosmo e il macrocosmo.

Il Bhagavad Gita, che fa parte del Mahabharata, il grande poema epico indù, è considerato forse il primo vero testo di Yoga, dove vengono indicate le tre vie: Karma Yoga, Jnana Yoga, Bhakti Yoga, descrivendo le pratiche degli yogi del tempo come Prathyara la ritrazione dei sensi e il Pranayama il controllo della respirazione.

A trasformare e strutturare il pensiero yogico è Patanjali, di cui in realtà poco si sa.
Leggenda e verità si mescolano e non è facile riuscire a cogliere, quali tra le informazioni pervenute, siano realmente attendibili. Patanjali nei suoi Yoga Sutra sosteneva che grazie alla pratica spirituale è possibile “aprire gli occhi” senza ricorrere alla vista.
Lo Yoga ci aiuta, specialmente nei nostri tempi moderni, sfrenati e frenetici, a liberare il corpo da tensioni muscolari o da fastidi che si annidano in alcune zone corporee, dove si ancorano emozioni, sentimenti o persino il nostro vissuto.
Il corpo, come il respiro, racconta incessantemente di noi, della nostra storia, della sua memoria.

Patanjali ci ricorda quindi che il nostro corpo e la nostra mente sono strumenti importanti, che ci permettono di fare esperienza della vita, ma non coincidono con il nostro vero essere, che risiede più in profondità dentro di noi. Negli 8 Ashtanga infatti sono racchiuse soprattutto tecniche di concentrazione e di meditazioni e norme comportamentali, invitandoci a coltivare la parte meno tangibile e visibile del nostro essere, piuttosto che quella fisica, che va comunque nutrita e curata.

La pratica fisica nello yoga in realtà la ritroviamo proprio nelle civiltà di Harappa e Mohenjo, e questa corporeità, dopo essersi dispersa, è riapparsa nuovamente nello Yoga tantrico.
Il tantrismo e l’Hatha Yoga che ne deriva, non sono quindi figli dell’India ariiana bensì della più antica civiltà dell’Indo.
La parola stessa Hatha Ha “Sole” Tha “Luna”  è composta da due termini che non coincidono con quelli sanscriti: Surya e Chandra.

Questa è in pillole la genesi della storia dello Yoga, ma la riflessione che arriva spontanea quasi folgorante è perché lo yoga sia nato proprio in India.
Il mito dell’origine dello Yoga all’uomo arriva dalla cultura indiana, ma ciò non esclude che questa disciplina possa essere abbracciata da tutta l’umanità.

Ripercorrendo la storia dello yoga arrivando alle sue origini, credo che non potesse esserci altro luogo, in cui lo yoga potesse affondare le sue radici, sostenendo una visione unitaria dell’essere umano che va aldilà della sola materia verso corpi più sottili, componenti invisibili del nostro essere, il nostro sistema energetico.

Due esponenti della psicologia dello sviluppo Vygotskij e Brurner ritengono che la cultura sia un elemento fondamentale per lo sviluppo dell’individuo. E senza ombra di dubbio questo aspetto del sacro, la relazione tra l’essere umano e il divino era ed è molto più accentuata nella cultura indiana di allora e di adesso.
Nella nostra cultura il divino è qualcosa distaccato da noi, mentre in India il divino si rivela in ogni essere vivente, ogni gesto, ogni luogo, venerandoli con infinita sacralità.
L’individuo – il microcosmo – si unisce alle varie divinità del pantheon induista attraverso gesti quotidiani, che vanno dalle abluzioni al lavoro, passando per una serie di riti che uniscono il sé al divino.

L’ Occidente ha filtrato questa disciplina e ne ha colto solo alcuni aspetti, per poterla rendere una pratica adatta e adattata anche alla nostra cultura, ai nostri tempi, al nostro sentire ed è forse proprio questo che a volte ci allontana dalla natura intima dello Yoga, distorcendola.
La spiritualità in Occidente viene meno, o addirittura sta fallendo, perché anche questa è stata industrializzata, convertendola in un grande affare.
Non si tratta di trascendere le proprie fragilità, gli eterni ritorni esistono, i ricordi possono invadere la nostra mente ed il nostro cuore, così come il desiderio di proiettarci verso un futuro sconosciuto che a volte già vorremo conoscere. Il qui ed ora non può essere vissuto con attaccamento, la nostra umanità va abbracciata, senza calpestare millenni di sacralità che l’India, e non solo, ci ha insegnato, con il rischio di colonizzare anche lo Yoga.

Di fatto c’è un elemento fondamentale che distingue lo yoga, in tutta la sua complessità, diversità e somiglianza, dalla pura e semplice attività fisica: la volontà e l’apertura verso una ricerca spirituale, verso la propria spiritualità e la propria sacralità.

La chiave del mito delle origini è ciò che ci permette di apprezzare lo Yoga come una pratica che ci accompagna verso la nostra vera natura, calandoci nella profondità del nostro essere con ascolto e attenzione per incontrare il divino che vive in ognuno di noi, riportandoci alla terra madre, che ci invita a sperimentare lo Yoga, il Tantra non duale, la filosofia, noi stessi. L’India. Bharat Mata.

Azzurra Pettorossi

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