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Dal “corpo fatto di cibo” (annamayakosha) al “corpo fatto di felicità” (anandamayakosha): l’avventura interiore del genere umano che ha dimenticato la propria vera natura.

Ma quale sarebbe questa “vera natura” e perché è così difficile contattarla? Cercare di rispondere a tali domande in spirito di esplorazione diretta e non di mera speculazione filosofica traccia già la mappa interiore del viaggio che offre lo Yoga. La nostra Realtà essenziale è pura Coscienza libera da legami, Atman, Assoluto, esistenza colma di beatitudine – ci dicono i Rishi (i saggi cantori ispirati dell’India) che questa esperienza l’hanno condotta felicemente a termine migliaia di anni orsono. Non siamo un corpo che ospita uno spirito – continuano le indicazioni pratiche degli antichi yogi – bensì uno spirito che sta facendo esperienza in un “contenitore” che chiamiamo corpo-mente. La nostra Realtà fondamentale ha il sapore di una dimensione squisitamente armonica, pacifica, abbondante, generosa, compassionevole, vibrante di una vitalità espansa ed inclusiva.
Ma allora perché non vediamo tutto questo nel mondo che ci circonda?

Un coro unanime risuona dalle antiche tradizioni spirituali, e non solo quelle orientali: perché prima di tutto non lo vediamo né riconosciamo e tantomeno incarniamo dentro di noi. L’incarnazione è parte del processo, ma a quale corpo ci riferiamo è parte del “viaggio di esplorazione” dal noto all’ignoto, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla dimensione atemporale – come ci ricorda il distillato poetico del Pavamana Mantra (Om Asatoma)

QUELL’ERRORE DI PERCEZIONE CHE È CAUSA DI TUTTI I MALI

Per vari motivi (ereditari, sociali, culturali etc.) ci siamo allontanati – o abbiamo perso il ricordo – di questa nostra natura essenziale, universale, connessa con il Tutto, e ci siamo identificati sempre di più con ciò che ci separa dalla sorgente stessa della vita: l’ego, il senso dell’Io personale (ahamkara) che è fondamentalmente una costruzione mentale. Ed ecco il paradosso che semina il primo (e anche l’unico) germe della sofferenza nell’essere umano: la realtà esistenziale si è trasferita quasi totalmente nella realtà psicologica, a causa di un meccanismo di identificazione così serrato da sembrare vero, assoluto e inequivocabile per la maggior parte degli individui. Il germe della dualità tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra attaccamento e avversione, il parossismo della mente discorsiva, logorroica, ossessiva, separativa, disfunzionale, anti-poetica.

Ognuno poi, in base alla identificazione più o meno serrata e inconsapevole con tale demone (l’ego, il “demone dell’orgoglio” così definito dalla mistica tibetana Machig Labdrön negli splendidi “Insegnamenti sulla Nobile Pratica della recisione dei demoni”) si forma una sua personalità (maschera) e si va avanti, chi più chi meno, dando adito a questa finzione che si perpetua in maniera automatica.
Alla base di tutta la sofferenza umana, dunque, c’è un errore di percezione, una illusione perpetuata a tal punto da essere diventata la credenza più ingombrante e separativa della nostra vita.

RI-ORIENTAMENTO: LA BUSSOLA DELLO YOGA

Lo Yoga ci invita pertanto a un viaggio di ri-posizionamento nella giusta visione, direzione, orientamento. Orientarsi vuol dire porsi verso oriente, Est, il sorgere del Sole, la fonte della vita e della chiarezza illuminante (om asatoma sat gamaya: dall’ignoranza alla conoscenza): farci ricontattare quel nucleo divino di forza cosciente e innata saggezza che abita in noi, in ogni essere vivente e in tutto l’universo.

Ma quali soni i principali ostacoli al ricordo della nostra vera natura “senza identità”?
Il ruolo cruciale in questo obnubilamento (avidya, ignoranza) lo giocano le tendenze inconsce e subconscie della mente, tracce di memoria latenti (samskaras e vasanas), i condizionamenti profondi cristallizzati nella sfera psichica che inducono a continue reazioni compulsive o a comportamenti insani reiterati nel tempo. Ecco perché la purificazione della mente – sia quella sensoriale-emozionale più superficiale (manas) sia la più profonda (citta) – sostiene significativamente il processo di “ricarica energetica” a beneficio delle forze vitali intelligenti che risiedono, latenti e inesplorate se non addirittura stagnanti e intrappolate, dentro l’essere umano.

Uno dei meccanismi di purificazione più potenti in tale direzione è la non identificazione. Con cosa non identificarsi? Con ciò che fondamentalmente non siamo, al di là delle percezioni sensoriali più immediate, mutevoli, incantatorie e incatenanti.
Il primo passo può essere la disponibilità interiore (bhav) ad aprirsi a una prospettiva più ampia: sull’importanza di questo primo passo puoi approfondire: Il giusto atteggiamento nello Yoga: l’importanza cruciale del Bhav

I CINQUE CORPI E LA FELICITA’ COME DESTINO

Nella fisiologia sottile dello Yoga si considerano cinque “involucri” (Panchakosha), dal più spesso e grossolano al più evanescente, come corpi o “dimensioni” che rivestono l’Atman, la nostra reale natura: corpo fisico fatto di cibo (annamayakosha), corpo mentale fatto di pensieri ed emozioni (manomayakosha), corpo energetico fatto di energia (pranomayakosha), corpo della Buddhi fatto di intelletto (vijanamayakosha), corpo fatto di beatitudine (anandamayakosha). Penetrando in profondità tali differenti “dimensioni corporali”, la nudità essenziale (Atman) può finalmente emergere riconsegnandoci alla vita universale e multidimensionale che abbiamo in sorte, anzi, che letteralmente siamo.
Questa spoliazione, che ci getta dritti tra le braccia dell’Infinito senza astrarci dalla vita né isolarci dal mondo, è il meraviglioso viaggio che offre lo Yoga mediante attitudini corporali (asana) e soprattutto meditative, atte a risvegliare la Consapevolezza vibrante e unitiva dell’Atman a cui si avvicina – nell’ordine dei cinque involucri menzionati poc’anzi – una dimensione fatta di felicità, gioia, beatitudine.

La felicità, dunque, non è una meta da raggiungere, bensì una nostra caratteristica essenziale, organica, cellulare. E, se il dolore esiste in quanto possibilità esistenziale (sbatto a uno spigolo e mi faccio male, muore una persona cara etc.) la sofferenza è per lo più auto-inflitta, ha una matrice psichica e, dunque, evitabile (come rispondo all’evento doloroso, i pensieri che ci cucio intorno e la scia emotiva che lasciano).
Dolore e sofferenza non sono la stessa cosa e … la via d’uscita è dentro!

La consapevolezza è un processo di inclusione, un modo per abbracciare l’esistenza intera.

“Più si tende a rimanere assorti nei propri pensieri, più si smarrisce la gioia” – scrive Sadhguru – “… l’essenza dello yoga è arrivare al momento in cui c’è uno spazio libero tra te e la tua mente. Quando questo accade, inizia una vita di più elevata chiarezza, percezione, libertà. È la nascita della libertà […] Il fine dello yoga è passare dall’insieme di informazioni che possono trovare spazio nella testa a un cosmo di intelligenza. Com’è tragica la scelta che tanto spesso la gente finisce per fare, preferendo la finitezza del cervello umano a un universo di coscienza infinita!”

IN QUESTO CORPO C’E’ IL MONTE MERU”

Abbiamo visto come la mente concettuale non inclusiva sia il principale ostacolo ad una percezione più espansa della Realtà, una tirannia di cui il corpo fisico è una delle principali “vittime”: un corpo mercificato, meccanicizzato, sempre più virtualizzato e automatizzato, con o senza lo zampino delle ultime tecnologie che amplificano le diavolerie di un mentale sempre più sconnesso dalla realtà organica ed esistenziale: intelligenza, appunto, artificiale.

Quanto viviamo davvero a contatto con il corpo o piuttosto ci relazioniamo ad esso in maniera astratta e concettuale, ossessionati da diagnosi e sintomatologie che sono solo la punta dell’iceberg? Quanto lo sentiamo realmente, vivendolo dall’interno fino a percepirlo come pura energia in movimento, abitato dai cinque elementi (Panchamahabhuta)? Terra, acqua, fuoco, aria, etere non sono solo fuori, ma dentro di noi. “Il nostro corpo è un universo il miniatura” recitano poeticamente i testi upanishadici e i cantori di tali verdetti non avevano bisogno di nessun marchingegno computerizzato di realtà aumentata!

“In questo corpo c’è il Meru circondato da sette isole, vi sono sette fiumi, mari, monti, campi e proprietari di campi” (Strofa 1 del Capitolo 2, Siva Samhita)

“Vi si muovono il sole e la luna, autori della creazione e della distruzione. Vi sono pure l’etere, l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra…” (Strofa 3 Capitolo 2, Siva Samhita)

Non si tratta di pure allusioni metaforiche, ma del miracolo della Vita!

SE COMPIRAI QUESTO PASSO…

Concludo suggerendo una pratica Sadhana tratta dal libro “La gioia è alla portata di tutti – la via dello Yoga” di Sadhguru, di cui consiglio la lettura integrale:

È sufficiente rimuovere dalla mente l’idea che il pensiero equivalga all’intelligenza. Il processo intero della creazione, da un singolo atomo al cosmo, è una meravigliosa espressione dell’intelligenza. In questo momento dentro il tuo corpo c’è un’intelligenza palpitante, che è la reale origine della creazione. Con il tanto sopravvalutato intelletto, riesci forse a comprendere nella sua interezza l’attività anche di una singola cellula del tuo corpo? Il primo passo per uscire dalla trappola dell’intelletto è aprirsi a un’intelligenza più ampia e riconoscere che ogni aspetto della vita – dal granello di sabbia alla montagna, dalla goccia all’oceano, dalla dimensione atomica a quella cosmica – è la manifestazione di un’intelligenza di gran lunga superiore al tuo minuscolo intelletto. Se compirai questo passo, la vita inizierà a parlarti come non aveva mai fatto prima.

Cecilia Martino

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