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Non è che sia mai stata particolarmente esperta o attratta dalla musica. Non sono mai andata a un concerto né ho mai suonato uno strumento. Sai quelle cose che dici: «mi metto lì e imparo, magari a suonare la chitarra, che mio padre la suonava sempre». Ancora me lo ricordo, lì in giardino, d’estate, dopo cena, a suonare e cantare le canzoni popolari, quelle degli anni ’70. E rideva, quanto rideva. Beh… io con la musica non c’ho mai avuto tutto sto feeling. Alla radio ascoltavo quello che capitava oppure la usavo per fare le pulizie in casa che, sai com’è, almeno la musica ti alleggerisce un pochino e anche togliere la polvere dagli scaffali diventa un po’ meno noioso. Niente colonne sonore di momenti epici o alla «Marco se n’è andato e non torna più» o di quelle che ti fanno pensare alle serate al mare d’estate. E, in effetti, detta così sembra un po’ triste, un po’ da sfigatella. Eppure non è che la musica abbia mai ricoperto un ruolo fondamentale nella mia vita.

Poi un giorno ho scoperto Odaka Yoga che è la disciplina che oggi pratico e insegno. Yoga lo facevo già da un po’, in un centro qui, vicino al paese dove abito. Mura bianche e camici arancioni. Odaka è stata una ventata di aria fresca in un momento in cui sembravo più una prateria desertica della Death Valley che un’area di pelle viva che respira e prova emozioni. E dalla mia prima lezione di Odaka e poi anche dalla seconda (e forse pure dalla terza) sono uscita piangendo – cosa che a volte capita anche ai miei allievi, di tanto in tanto.
Noi, quando pratichiamo Odaka, usiamo la musica. E, per chi non la conoscesse, Odaka è una disciplina contemporanea che fonde yoga, arti marziali e ti fa muovere come fossi le onde del mare. E manco te ne accorgi, ma il tuo corpo crea vortici, risacche, onde che si infrangono sulla spiaggia e sbloccano pure le emozioni che avevi nella vita precedente. E tutto questo mentre la musica ti accompagna e vibra nelle tue cellule e crea ritmo che è il ritmo del prana, di energia vitale che si dissipa in ogni atomo del corpo, dal nostro nucleo centrale fino a ogni estremità e da quelle stesse piccole estremità fino al nostro centro, nucleo propulsore di energia vitale, di movimento, di pace.
La musica ispira le mie lezioni quando insegno e mi trasporta quando pratico, scioglie le mie emozioni.

Alcuni studiosi affermano che la musica durante lo yoga possa entrare in conflitto con il Pratyahara (il ritiro dai sensi), uno degli 8 passi contemplati da Patanjali, e uno dei sensi è certamente l’udito. Ma la musica è anche in grado di far sorgere alcune emozioni come la compassione, la gratitudine, emozioni di cui spesso ci dimentichiamo, presi dalla frenesia delle nostre giornate. E allora penso che ben venga se una musica ci fa venire voglia di dare un carezza in più, un abbraccio in più o un ‘grazie’ a qualcuno a cui non avremo altrimenti il coraggio di dirlo. Ben venga.

La musica ci dà anche la capacità di conoscere meglio noi stessi, di studiarci in profondità e non è anche questa una delle etiche di Patanjali, Svadhyaya? La musica agisce in modo profondo sul cervello. E lo dice anche la scienza: laddove la melodia attiva aree del cervello adibite al movimento, si pensa che la musica sia sorta per aiutarci a muoverci insieme, portandoci a essere più altruisti e solidali. E chi fa yoga lo sa che lo yoga non è solo sul tappetino dello studio o di casa, ma anche fuori, in mezzo al traffico, tra le spallate dei funzionari d’ufficio che, in ritardo, corrono a lavoro o tra chi, parlando al telefonino, manco s’accorge che ti sta camminando a un centimetro dal naso. E, allora, essere altruisti e solidali, forse ci fa anche bene. E forse ci fa anche bene se non lo siamo di natura, ma sono la musica e lo yoga che ci aiutano a esserlo.

La musica e il suono, nello yoga, sono contemplati anche all’interno di uno dei testi più importanti, il Gheranda Samhita che ai sutra 77-78-79-80-81 parla di Nada Yoga, un ramo dello yoga in cui si afferma che la realizzazione di Dio può essere ottenuta tramite la meditazione sul principio del suono.
Tutto è movimento, circolarità e suono: e in Odaka rispettiamo questo principio. Anche noi siamo dei suoni. Di recente, mentre cercavo materiale per alcuni miei studi, mi sono imbattuta in un trattato di Vemu Mukunda, fisico nucleare e famoso musicista indiano. Coniugando i suoi studi scientifici con la tradizione millenaria del suo paese ha elaborato una lunga indagine sul corpo umano e le sue risposte fisiche e psichiche al suono, arrivando alla conclusione che ogni essere vivente è un suono.

Ogni essere umano, dice Mukunda, raggiunta l’età adulta, assume una vibrazione che lo distingue e lo rende nota unica e caratteristica del grande concerto cosmico. Una nota unica nel concerto del cosmo. E non è questo essenza profonda? Non è questo yoga?
E allora il suono, la musica e lo yoga forse hanno un po’ tutti lo stesso obiettivo, quello di unirci con la parte più intima di noi stessi e con Dio o con qualsiasi nome abbiamo deciso di dare a quell’energia cosmica e primordiale dalla quale sentiamo e sappiamo di provenire.

Io pratico con la musica e insegno con la musica, Odaka. Oggi, dove al posto di quella prateria arida della Death Valley, c’è un campo di fiori.

Valentina Ferrero

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