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Tempo di lettura:3 minuti, 36 secondi

Nel mondo dello Yoga ormai sono moltissimi gli articoli e le testimonianze dirette di tutti i benefici che la pratica porta con sè. Si va da quelli fisici a quelli mentali, passando per il piano energetico e sfociando in quello spirituale. E ovviamente non è mia intenzione smentire tutto ciò. Anzi ritengo che lo Yoga sia un percorso che possa portare ad una trasformazione molto profonda su tutti i piani dell’esistenza. Ma c’è un meccanismo un po’ nascosto, soprattutto legato a chi pratica Ashtanga yoga, che difficilmente viene portato alla luce dagli “addetti ai lavori” e che penso valga la pena analizzare.

Premetto che la mia vuole essere una riflessione che pone semplicemente delle domande senza dare risposte certe e soprattutto senza dare giudizi se non quelli riguardanti il mio percorso personale.
Ormai sono diversi anni che vivo questo mondo e ho attraversato diverse fasi di trasformazione.
All’inizio ero molto orgoglioso della mia pratica e soprattutto del fatto che avessi una Sadhana che non poteva essere intaccata da nulla. Ero fermamente convinto che dato che questo piano dell’esistenza fosse governato da Maya e dal suo velo illusorio, bisognasse uscire da questa dimensione immergendosi completamente nella pratica, abbracciando tutti i suoi molteplici aspetti. La realtà che osservavo intorno a me appariva priva di significato e addirittura la consideravo superficiale, appunto un’illusione in cui essere prigionieri senza rendersi conto che la vera realtà fosse al di là del velo.

Gli anni passavano e sempre di più mi convincevo che i progressi negli Asana, tutta la fatica, la dedizione alla pratica mi stessero aiutando ad uscire da questa grande messa in scena.
Finalmente mi stavo lentamente staccando da tutto ciò, riuscendo a vedere i fili che muovevano tutti i meccanismi. Povere tutte quelle persone che erano perse in questo caos fatto di vizi, ossessioni, dipendenze e cose che portavano solo felicità di polistirolo. Tutti imprigionati in una gabbia senza sbarre, ma che comunque li rinchiudeva.
No, la vera felicità poteva essere raggiunta solo risvegliandosi attraverso il percorso che stavo portando avanti con tanta dedizione. E poi un giorno provai a cambiar prospettiva.
Cominciai, grazie anche a quello che gli altri mi facevano notare di me, ad osservare meglio ciò che avevo costruito in quegli anni. E ciò che vidi mi spaventò e sorprese allo stesso tempo.
Avevo costruito il mio personale “Truman show”: la pratica.

Un posto dove sentirmi al sicuro, dove nulla al di fuori di esso poteva penetrare, bastava solo seguire il copione fino a raggiungere la meta. Tutto perfetto. Ero un devoto studente. Seguivo pedissequamente ogni principio regola o dogma. Ero sulla strada dell’illuminazione insomma. Se non che un giorno riflettei sul fatto che fossi terrorizzato all’idea di non poter salire sul tappetino se un qualcosa fosse accaduto per impedirmelo. Avevo paura di perdere il mio mondo perfetto. Perfetto perché li ero io a fare le regole o meglio le regole erano chiare e con nessuna incognita o possibilità di imprevisto, si dovevano solo seguire. Tutto era conosciuto, e controllabile. Ma che differenza c’era con il mondo illusorio dove pensavo tutti vivessero? Non era anch’essa un ossessione? Invece di essere immerso in esso ne avevo costruito uno in miniatura dove vivere pensando di essere libero dall’altro, ma in realtà solo nascosto. Penso che una domanda fondamentale per tutti quelli che pratichino Ashtanga sia: se da domani non potessi salire più sul tappetino come ti sentiresti? Saresti disposto a rinunciare alla pratica tranquillamente? Quanti risponderebbero di si…?

Onestamente penso che sia anche una fase che, chi più chi meno, tutti dobbiamo attraversare. Tutti all’inizio siamo attaccati alla pratica e ai nostri progressi in essa. Ma veramente tutti poi sono in grado di staccarsene o quando si è abituati a vivere in un regno perfetto e dorato difficilmente si sceglie di tornare indietro? Sopratutto se si ha la sensazione di essere dal lato giusto. Ma non c’è un lato giusto o sbagliato. La differenza la fa come decidiamo di viverlo. Quindi anche l’Ashtanga yoga, come ogni strumento di evoluzione, cambia la sua validità ed efficacia a seconda di come si usi e metabolizzi. Penso che nessun percorso semplicemente seguendolo ci possa dare la sicurezza di portarci su piani più sottili e spirituali. Tutto dipende con che passi intendiamo percorrerlo…

Riccardo Gherardi

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