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Con la primavera in pieno fermento, la metafora della fioritura assume un livello completamente nuovo di apprezzamento e applicazione. In primavera, ci godiamo i frutti del nostro lavoro autunnale di raccolta e coltivazione. E l’introspezione e il riposo dell’inverno.

Vedere i germogli di verde rompere attraverso il terreno umido e bagnato e le esplosioni colorate aprirsi al sole, ci ricorda che la vita è un cerchio, un cerchio di energia, un processo di riciclo e rinascita. La fioritura e la primavera come metafore della rinascita. La pratica dello yoga è il terreno fertile in cui impariamo ad essere il nostro vero sé.
Le pratiche di asana flow, pranayama e meditazione servono come strategie per coltivare l’unione all’interno, nella relazione e con il mondo intero.
Essere parte del tutto in ogni gesto, nella transizione tra una posa e l’altra, tra un respiro e l’altro. Essere dolcemente in ogni luogo e in nessun luogo, con mente e corpo fluido.

Non si tratta tanto di diventare qualcuno di nuovo quanto di ricordare e re-imparare ad essere la migliore e più piena espressione del nostro autentico sé. Lo yoga è la pratica dell’unione. Si potrebbe dire che lo yoga è la pratica dell’essere piuttosto che del fare. Fiorire non comporta il dover fare ma il lasciar che accada, sul mat e nella vita.

“Poi venne il giorno in cui il rischio di rimanere stretti in un bocciolo era più doloroso del rischio di sbocciare”.
— Anais Nin

Non può non venirci in mente la filosofia di Patanajali ed il concetto vedico di Abhinevesha, la sfida di morire e lasciar andare.
Abhinevesha, uno dei 5 klesha o afflizioni secondo gli yoga sutra, è una parola sanscrita che significa “volontà di vivere”, riferendosi alla paura della morte, la morte del sé.

Il concetto occidentale più vicino a questa nozione di Abhinevesha è l’Ego. Tutti noi sperimentiamo momenti di forte dichiarazione d’identità, salutare e necessario per stabilire chiari confini e sapere chi siamo. Se riuscissimo un istante dopo a lasciar andare questa individualità per far parte di una comunità, del tutto, fiorire sarebbe più semplice. E con esso abbracciare le infinite possibilità di ampliare i nostri confini. Consapevoli che ciò che ci circonda non è separato da noi.

Ogni volta che srotoliamo il nostro mat e pratichiamo, ci riconnettiamo a chi siamo, cosa abbiamo imparato e cosa ci ha reso felici. Ma potremmo aver difficoltà a non trattenere queste sensazioni di benessere.
A volte la parte più difficile dello Yoga è lasciar andare abitudini o pratiche che, anche se non ci sono più utili, ci danno un certo grado di sicurezza e competenza. Siamo bravi a farle, il che si traduce in un colpo di dopamina (la ricompensa!) nel cervello. Il riapprendimento non è un processo facile, soprattutto quando l’abitudine è nuova e non produce ancora i risultati desiderati.

Come la maggior parte delle cose di valore, un giardino richiede tempo, sforzo e pazienza, il nuovo richiede curiosità sforzo e pazienza. Il processo è un equilibrio di rischio e ricompensa. Se il rischio è la sfida per fiorire e diventare, la vulnerabilità è la pratica per facilitare la trasformazione e ricevere la migliore ricompensa possibile.
Vulnerabilità è il coraggio di un un guerriero che non ha paura e abbraccia la vita pienamente in ogni sua espressione.

Il Buddha ci ispira con bellissime parole:
“Alla fine solo tre cose contano: quanto hai amato,
come gentilmente hai vissuto
e con quanta grazia hai lasciato andare le cose.”

Come la relazione tra l’inspirazione e l’espirazione bisogna vuotare i polmoni per poter prendere un nuovo respiro profondo e aria nuova e nuove vibrazioni.
Quando siamo in uno stato di buona vibrazione, ne attiriamo di più a noi.
I sentimenti vibrano, proprio come fanno tutte le cose nell’universo, ad una particolare frequenza. I sentimenti negativi come la rabbia, il senso di colpa e l’avidità vibrano a basse frequenze, mentre i sentimenti positivi come la gioia, l’apprezzamento e la passione vibrano ad alte frequenze. Queste vibrazioni ad alta frequenza ci fanno sentire bene. Ecco perché le persone e i luoghi che ispirano e coltivano sentimenti positivi hanno quelle che noi chiamiamo buone vibrazioni.

Il problema del vivere NON è morire, è non vivere mai pienamente finché ne abbiamo la possibilità.

La pratica dello yoga ci aiuta a liberarci degli strati di protezione e postura per rivelare il nostro vero sé e vedere con maggiore chiarezza. Questo è il processo del lasciar andare. Lasciando andare ciò che non è il nostro vero sé, rimuoviamo gli ostacoli alla visione chiara, non solo dai nostri due occhi, ma dal cuore compassionevole che vive dentro.

Buona pratica a tutti e buona vita,
Francesca Cassia, Odaka Yoga

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