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Foto di dasanudas da Pixabay

La danza mistica di Rādhā e Kṛṣṇa
Nell’induismo, l’amore tra Kṛṣṇa e Rādhā è spesso visto come una delle relazioni più divine e intime della mitologia indù. Rādhā è considerata la suprema devota, l’incarnazione dell’adorazione a Kṛṣṇa, il quale a sua volta è venerato come la divinità suprema e manifestazione dell’amore divino.
Rādhā è spesso ritratta come una giovane donna profondamente innamorata di Kṛṣṇa nell’abbandono, amoroso e incondizionato, a lui (prema bhakti), sentimento che, nella visione viṣṇuita, rappresenta il più alto principio dell’intero universo.

Tale forma di abbandono amoroso è governata dalla potenza del “piacere” (s. m. hlāda, hlādinī) spirituale e trascendente. In questo senso, per alcune teologie la stessa Rādhā è una manifestazione di Dio, Kṛṣṇa, ovvero della sua potenza quando egli intende manifestare il “piacere”, e tale manifestazione va intesa come atemporale.
Nella Srimad-Bhagavatam (10.30.28), la crema di tutta la letteratura puranica il suo nome viene citato solo una volta — con il termine indiretto anayaradhitah, che significa “colei che adora Krishna nel modo migliore.”

D’altra parte, sia il Padma Purana sia il Brahma-vaivarta Purana illustrano i suoi divertimenti d’amore con Kṛṣṇa e svelano che la coppia divina è la sorgente di tutto ciò che esiste. Infatti, il Brahma-vaivarta Purana contiene un racconto esoterico della creazione in cui Rādhā crea insieme con Krishna il mondo materiale.
Sempre nel Padma Purana (Patalakhanda, Capitolo 71) viene raccontata la storia del primo incontro tra Kṛṣṇa e Rādhā, il quale si svolge circa cinquemila anni fa. Si narra che il Maharaja Vrisabhanu mentre faceva le sue abluzioni mattutine a Vraja nelle acque del fiume Yumana, vide una meravigliosa bambina che galleggiava su un radioso fiore di loto.
Con grande gioia la prese tra le braccia e la portò alla sua consorte, la regina Kirtida Devi, la quale l’accolse con grandissimo amore e affetto. Il re e la regina però si accorsero subito che la bambina non apriva gli occhi. Questo naturalmente spezzò il loro cuore e pregarono Dio affinché La benedicesse con il potere della vista.

Lo stesso giorno, Yaśodā Devi, la moglie di Nanda Maharaja, arrivò da Gokula tenendo in braccio il piccolo Sri Kṛṣṇa. Il re e la regina che avevano adottato Sri Rādhā, l’accolsero con i dovuti onori, ma Yaśodā non riusciva a distogliere gli occhi dalla bambina appena nata che riposava tra le braccia di Kirtida Devi.
Yaśodā si avvicinò con il piccolo Sri Kṛṣṇa di fronte alla bambina, la quale per la prima volta aprì gli occhi e vide il volto radioso simile alla luna del suo amato Sri Kṛṣṇa. Rimase con lo sguardo fisso a contemplare la Sua amata forma. Anche Sri Kṛṣṇa fu sopraffatto dall’amore vedendo davanti a Sé la Sua eterna consorte nelle sembianze di una bambina.
In questo modo le Scritture narrano come avviene l’incontro dell’eterna coppia divina ogni volta che si manifestano nel mondo materiale.Rādhā in questo mito era già nata nella purezza essendo stata trovata galleggiare su un meraviglioso fiore di loto, era solo in attesa di essere risvegliata. Questo risveglio dal mondo materiale a quello spirituale avviene nel momento in cui le sue palpebre si aprono e viene immersa nell’amore della luce divina di Kṛṣṇa.

Dunque, l’amore è la perfetta visione e il riconoscimento del divino che c’è in ogni cosa. Come insegna Kṛṣṇa nella Bhagavad Gita 5-18 “Illuminati dalla vera conoscenza, gli umili saggi vedono con occhio uguale il brahmana nobile ed erudito, la mucca, l’elefante, il cane e il mangiatore di cani [l’intoccabile].”
Questo amore trascendentale viene esaltato nella divina danza cosmica tra Rādhā e Kṛṣṇa, che è considerata un’esperienza mistica e trascendente nell’induismo. In questa danza, Rādhā rappresenta l’anima individuale o jiva, e Kṛṣṇa ritrae la suprema realtà divina o Brahman. La danza tra i due raffigura l’unione dell’anima individuale con il divino.

L’amore spirituale di Rādhā verso Kṛṣṇa è considerato un amore adultero, che è l’amore metaforicamente più elevato, “perché solo l’amore tra gli amanti che nulla si devono l’un l’altro, a differenza di quello coniugale mediato per mezzo di un accordo, è inteso come il più puro” [1]. Secondo il mito indù, questa danza “Rasa Lila” si svolgeva di notte nella foresta di Vṛndāvana, dove Kṛṣṇa e Rādhā, insieme ad altre gopī (mungitrici), avrebbero ballato in uno stato estatico di amore divino, persi nell’estasi del loro amore reciproco. Si narra che la danza sia stata così affascinante da catturare i cuori di tutti coloro che vi avevano assistito, compresi gli animali e gli uccelli della foresta.

Nelle tradizioni Bhakti, la Rasa Lila è considerata una forma di devozione e adorazione ed è spesso raffigurata nell’arte e nella letteratura devozionale. Viene vista come un modo di sperimentare il divino attraverso la danza e la musica, ed è spesso eseguita nei templi e durante le feste religiose. La Rasa Lila è anche un’espressione dell’obiettivo finale dell’esistenza umana. Si ritiene che coloro che sperimentano la Rasa Lila giungeranno alla liberazione dal ciclo di nascita e morte e raggiungeranno l’unione con il divino.

Umberto Assandri (Anandamayacharya)

[1] David Kinsley, Hindu Goddesses: Visions of the Divine Feminine in the Hindu Religious Tradition, University of California Press, 1988, p.89.

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