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“C’era una volta l’India, una terra di saggi e Rishi che praticavano lo yoga come stile di vita. Nessuno andava a lezione allora, e lo yoga non aveva nomi fantasiosi, un’industria multimilionaria ad esso collegata o promesse di risolvere rapidamente lo stress, il mal di schiena, l’asma o qualsiasi altra cosa.”
— Rujuta Diwekar

YOGA E RELIGIONE

“Come il loto, uno yogi vive nel mezzo del samsara e fiorisce”, così veniva descritta l’esistenza di chi si dedica allo yoga nell’India antica. Pur sorgendo dal fango dello stagno, il loto mantiene intatta la propria purezza e si protende verso il cielo. Dunque, che cos’è lo yoga? Una dottrina religiosa? Una filosofia del misticismo? O persino una pratica di magia proveniente da quell’Oriente esotico che tanto affascinava gli europei dei secoli passati?

Queste sono solo alcune delle idee che si sono sviluppate in Occidente a partire dalla comparsa dello Yoga nello scorso secolo. Certamente è innegabile che i miglioramenti che lo Yoga può apportare alla mente e al corpo sono talvolta quasi miracolosi, ma ciò non rende lo Yoga un sistema di magia. Dall’altro lato la maggior parte delle persone che dicono di andare a lezione di Yoga, generalmente intendono una lezione di asana (posizioni). Tuttavia, gli asana sono solo una piccola parte dello Yoga, che coinvolge l’intero insieme di corpo-respiro-emozione-mente-intelletto-spirito. Persino il significato originario di asana ci è sconosciuto: “Asana è il modo di sedersi o il posto su cui ci si siede”, spiegava il filosofo Vachaspati Mishra, uno dei primi esponenti del Samkhya Yoga nel IX secolo d.C.

LE FIGURE STORICHE DELLO YOGA

L’incontro tra l’Occidente e lo yoga risale ai primi secoli della nostra era, quando Alessandro Magno invase l’India nel 326 a.C., i greci videro gli yogi per la prima volta e rimasero impressionati dalle loro pratiche ascetiche. Alessandro stesso negoziò con uno di loro di accompagnarlo in Grecia.

Successivamente Marco Polo (1254-1324) è probabilmente il più famoso occidentale che abbia viaggiato sulla via della seta. Il suo viaggio attraverso l’Asia iniziò quando era ancora un ragazzo e durò per 24 anni. Marco Polo divenne un confidente del re Mughal Kublai Khan che allora governava la Cina. Era un linguista dotato e un acuto osservatore. Durante il suo viaggio attraverso l’India settentrionale ammirò le tecniche dello yoga e rimase colpito dalla serenità degli asceti immersi nella meditazione.

Nella letteratura sanscrita numerosissime figure di saggi compaiono come autori di testi sullo yoga, tra questi ricordiamo il saggio Yajnavalkya (700 a.C), una figura centrale nel riconoscimento della natura dell’Atman nelle Upanishad. A lui è attribuito lo Yoga Yajnavalkya, un testo sullo yoga sotto forma di dialogo tra il rishi Yajnavalkya e la filosofa Gargi.

Tra i sette grandi saggi vedici, c’è il saggio Vashistha, autore dello Yoga Vasishtha, testo sul Vedanta e sullo yoga in forma di dialogo col principe Rama.

Il saggio Patanjali (I sec. a.C.) sistematizzò il materiale esistente sullo yoga fino a quell’epoca negli Yoga Sutra.

Lo yogi Matsyendranath (X sec. d.C.) diffuse lo Hatha Yoga e il suo successore Gorakhnath (XI sec.) fondò molti math (monasteri) di nath yogi.

Infine ricordiamo Paramahamsa Madhavadasji (1798-1924), il venerato guru di Shri Yogendraji. Egli seguì la tradizione bhakti di Chaitanya Mahaprabhu ma era anche interessato a conoscere altre tradizioni e tecniche di yoga, e per questo viaggiò molte volte l’India a piedi, nel corso del XIX secolo. Dopo molti anni di ricerca scelse di trasmettere i suoi insegnamenti più segreti e pochi discepoli meritevoli, tra cui spicca Manibhai Haribhai Desai (noto come Shri Yogendra) per portare la torcia dello Yoga nel mondo. Paramahamsa Madhavdasji visse ben 123 anni; trascorse gli ultimi anni della sua esistenza sulle rive del fiume Narmada a Malsar, dove visse insegnando lo Yoga Vedanta.

EVOLUZIONE DELLO YOGA MODERNO

L’origine dello Haṭha Yoga moderno diffuso attualmente parte dal presupposto che una volta, molto tempo fa, ci fosse uno Yoga puro e originale. Si pensa che questa tradizione sia passata attraverso una lunga stirpe di adepti indiani con modesti cambiamenti fino a giungere fino a noi in epoca moderna, dove si è contaminata con le nozioni europee cristiane (o di altre religioni) e si è corrotta con la mercificazione della cultura capitalista.

Ciò che oggi viene proposto come “yoga” non solo in Occidente ma anche in gran parte del mondo asiatico e dell’India stessa è uno yoga semplificato e commercializzato, che ha perso le intuizioni fondamentali della pratica originale, fino al punto in cui yoga (controllo, disciplina) e il suo opposto bhoga (divertimento, piacere) non sono più distinguibili.

Gli atteggiamenti verso il sesso e la sessualità all’interno dell’ambiente dello yoga contemporaneo sono ambigui. Si ottiene una matassa contorta di opinioni e immagini in cui troviamo, ad esempio, idealizzazioni di castità e ascetismo, in contrapposizione con rappresentazioni erotizzate del corpo yogico (perlopiù femminile) e pubblicità edonistiche dello yoga che sana, ringiovanisce, migliora le prestazioni sessuali e conduce all’estasi orgasmica. L’effetto complessivo è un mélange di messaggi confusi per l’aspirante praticante di yoga. Questa confusione è sintomatica della superficialità con la quale si approcciano le tradizioni yoghiche, spesso dettate da mode e tendenze culturali, che cavalcano l’onda del fitness trend contemporaneo che enfatizza la fisicità, l’estetica e il benessere fisico.

Questa miscela costituisce la zuppa saporita che è lo yoga globalizzato contemporaneo.

Le radici del fenomeno “yoga” sono profondamente radicate nel suolo del modernismo indiano, legato a forme emergenti di religiosità cosmopolita, nazionalismo e vari tipi di cultura corporea.

Molti dei principali maestri dello yoga moderno del ventesimo secolo hanno integrato consapevolmente i principi hindu con le pratiche yogiche, insieme alle culture intellettuali e fisiche dell’India e di origine europea, come il wrestling, la ginnastica e le arti marziali.

Sebbene la pratica dello yoga sia spesso descritta dai suoi aderenti e sostenitori come fondamentalmente non settaria e aconfessionale, persiste un certo grado di ortodossia all’interno delle tradizioni contemporanee dello yoga in India, radicata in parte nei principi di quello che viene definito il “rinascimento hindu” e nella formulazione dello hinduismo in una sorta di universalismo onnicomprensivo.

Le domande riguardanti l’autenticità dello yoga e l’autorità dei suoi sostenitori si sono sviluppate in scuole di yoga e comunità che professano affiliazione con particolari lignaggi indiani.

Quali sono gli obiettivi di una tradizione, di un Maestro o di una Maestra? Questi obiettivi non dovrebbero focalizzarsi su preoccupazioni mondane come la bellezza, la salute, la forza e così via ma sul conseguimento della verità e della realizzazione spirituale, che conduce alla liberazione dagli attaccamenti e dalle afflizioni mondane.

Cos’è lo YOGA MODERNO?

Possiamo riassumere lo Yoga moderno in cinque macro-filoni:

  1. Lo yoga psicosomatico – della comparsa di Vivekananda (1863-1902) in epoca moderna, sintetizzato nel suo libro Raja Yoga (1896), un modello che influenzò gli altri ideal-tipi successivi;
  2. Neo-hindu yoga – che incorpora ideali nazionalistici e religiosi con una pratica fisica;
  3. Yoga posturale – che pone l’accento sull’ortoprassi delle posture fisiche;
  4. Yoga meditativo – che si concentra su un insieme specifico di meditazioni;
  5. Yoga devozionale – che si concentra più esplicitamente sulla dottrina, bhakti (una pratica di devozione e servizio verso una manifestazione del divino, anche in forma umana di guru o avatar) e darshan (la visione di una manifestazione della divinità).

Lo yoga moderno globalizzato attira centinaia di miglia di praticanti in tutto il mondo e si manifesta in luoghi fisici e virtuali, dando origine a un vero e proprio fenomeno di spettacolarizzazione.

MIND, BODY & SHOW

Yoga Shivir: Mente, corpo e spettacolo.

Sebbene la storia sia difficile da ricostruire con precisione, la pratica ormai comune di organizzare campi di yoga (shivir) per il grande pubblico e per istituzioni specifiche – gruppi scolastici, dipartimenti governativi, carceri, polizia, ecc. – risale all’inizio del ventesimo secolo, quando gli insegnamenti di yoga di Swami Vivekananda e Sri Aurobindo vennero integrati nella pratica dello yoga posturale. All’inizio dello scorso secolo furono tradotti molti testi medioevali di yoga e tantrismo e divennero così noti al pubblico. Come conseguenza di questo, molti sostenitori locali dello yoga si impegnarono per dissociare consapevolmente lo yoga dall’alchimia magica, dal misticismo e dalle pratiche sessuali.

Shivir è un termine sanscrito che si può tradurre come “campo” o “residenza”. Nel contesto yoghico si riferisce a eventi in cui sono offerte lezioni, dimostrazioni e gruppi di studio, usati per promuovere lo yoga e altre tradizioni culturali. In quanto tale, il termine è più spesso utilizzato in contesti in cui vari gruppi e istituzioni sono coinvolti nella promozione degli ideali hindu o del patrimonio vedico. In altre parole, l’uso – e la prestazione che è legata all’uso del termine – è intriso di nazionalismo, anche se non necessariamente, quindi, di settarismo comunitario e religioso.

Gli Yoga Days (diwas) e le “funzioni” (smaroh) possono durare fino a una settimana e sono concepiti come occasioni in cui a coloro che partecipano viene fornita una formazione di base in un formato di esercitazione di massa. L’accento è posto sulla partecipazione collettiva e di gruppo in un luogo pubblico.

Il termine shivir ha inoltre connotazioni marziali e, sebbene la maggior parte di questi ritrovi non sia condotta come campi di addestramento, è presente un certo grado di communitas ritualizzata – e inquadramento disciplinare – riflessa nel modo in cui i partecipanti seguono collettivamente le istruzioni della persona che conduce l’evento. Secondo l’antropologo Joseph Alter, il risultato è un’“irreggimentazione coreografata ad hoc”. Asana e, in misura minore, pranayama, richiedono che i praticanti abbiano uno spazio chiaramente delimitato per sedersi, sdraiarsi e assumere varie posture. I partecipanti sono seduti su coperte rettangolari o stuoie disposte in file e colonne ordinate e simmetriche. La persona che dà istruzioni e fornisce commenti e spiegazioni di solito siede o sta in piedi su una pedana bassa dove è chiaramente visibile al gruppo. Questa configurazione definisce i parametri di base della “performance”, nella misura in cui la performance è spesso messa in scena per un pubblico su larga scala, fatto non solo di partecipanti ma anche di spettatori. Talvolta l’istruttore, i partecipanti e il pubblico vengono ripresi per essere trasmessi in televisione e fotografati per la distribuzione sui social. Gli shivir sono, in un certo senso, eventi puramente spettacolari e, lo spettacolare è di per sé una caratteristica integrante della performatività. Certamente vi sono individui e gruppi che organizzano e sponsorizzano lo shivir con sincero desiderio di promuovere lo yoga, rappresentare accuratamente la sua storia e la sua filosofia e insegnare alle persone come e perché impegnarsi in varie forme di pratica.

Shivir sono, per definizione, eventi in cui lo yoga è definito in termini di verità assoluta e come fatto inconfutabile. Ciò che è problematico, tuttavia, è che queste affermazioni di verità non superano il vaglio storico. Alcuni insegnanti e praticanti assumono una posizione radicalmente relativista sostenendo che tutte le affermazioni sullo yoga – mediche, magiche o mistiche – siano ugualmente vere. Tuttavia, questa posizione manca di integrità intellettuale ed evita la questione fondamentale. Al di là della metodologia, ci sono importanti questioni etiche che riguardano il problema dello scetticismo intellettuale e della rappresentazione. Poiché lo yoga implica pratica incarnata, rigorosa autodisciplina e allenamento strutturato della mente, il problema etico di mettere in discussione le affermazioni di verità assoluta è particolarmente complesso.

Da un lato, gli shivir sono semplicemente esempi ricchi e strutturati di cultura che viene costruita e ricostruita attraverso la pratica istituzionalizzata. In un certo senso, sono rappresentazioni che fanno riferimento alla pratica “reale” e disciplinata dello yoga, ma non sono progettate per essere la “cosa reale” in quanto tale, poiché la vera trasmissione dello yoga avviene tra guru e discepolo e gli insegnamenti rivelati come un segreto profondo ed esoterico. Questo segreto è la caratteristica strutturale della storia dello yoga che dà a tutti coloro che lo approcciano la speranza assoluta che lo yoga possa portare a una verità più grande di quella sperimentata nel mondo come lo conosciamo. Lo shivir è un riflesso di quella speranza, amplificato attraverso l’esibizione pubblica e accompagnato dalla ricerca di una salute migliore, meno stress e benessere generalizzato. Bisogna avere fede in quella speranza, poiché è ciò che porta oltre la performance a qualcosa che è reale, anche se solo nell’immaginazione incarnata.

La performatività shivir è una forma autocosciente di discorso incarnato che coinvolge vari gradi di ambivalenza sulla relazione tra mente e corpo, preoccupazioni mondane e trascendenza. L’obiettivo non è “fare” yoga, ma rendere manifesto nella sfera pubblica ciò che per natura stessa dello yoga non è manifesto.

Maya Swati Devi e Lucrezia Ottoboni
DEVI TANTRA YOGA – Scuola internazionale di Tantra Kaula e Sakta

Leggi anche: Once upon a time – Yoga in India

RIFERIMENTI

Yoga in the Modern World: Contemporary Perspectives, a cura di Mark Singleton, Jean Byrne, Routledge, New York 2008.

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