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Essere o dover essere, il dubbio amletico. Contemporaneo come l’uomo del neolitico.

Muove le mosse da qui il brano vincitore del Festival di Sanremo 2017. Ritmo incalzante e melodia travolgente non riescono a nascondere un condensato di riferimenti letterari, filosofici, antropologici e spirituali, da William Shakespeare a Erich Fromm, dai Veda a Eraclito, da Karl Marx a Desmond Morris. Il nocciolo della questione punta dritto a quando «la vita si distrae», si dirige verso l’effimero, il vuoto, l’apparenza. Il velo di Maya, ciò che nasconde la realtà delle cose. Ed è lì che «cadono gli uomini»: negando la volontà di significato e abdicando al pensiero autonomo inciampa la nostra evoluzione. Sarebbe questo l’Occidentali’s Karma descritto dagli autori, Fabio Ilacqua e Francesco Gabbani. E allora dilemmi inutili, lezioni di Nirvana, scimmie danzanti e Namasté come se piovesse.

Ma cosa si cela dietro questo termine così affascinante, usato e abusato spesso in Occidente, soprattutto dai praticanti di yoga? Namaste (नमस्ते) o Namasté è il saluto tradizionale indiano menzionato nei Veda, gli antichi testi sacri, insieme alle varianti Namaskar, Namaskaara e Namaskaram. Una forma semplice e densa. Le mani in posizione di preghiera davanti al cuore. Il capo leggermente inclinato in avanti. Gli occhi chiusi o socchiusi, lo sguardo rivolto all’interno. E una parola che unisce gratitudineumiltà e profondo rispetto.

Namasté è un distillato della cultura indiana, racchiude la dimensione spirituale, il concetto di sacralità di ogni essere, il modo di relazionarsi con gli altri, di riconoscere il divino che abita in ognuno. Un gesto benevolo e di gratitudine. La parola hindi deriva dall’unione di due parole sanscrite: “namas” (letteralmente “inchino”, derivante a sua volta dalla radice verbale “nam”, ossia inchinarsi) e “te” (“a te”). Si può tradurre con l’espressione “io mi inchino al divino che è in te”.

Nella cultura indiana si usano le mani come fonte primaria della creazione. Per questo il saluto contiene Anjali mudra – chiamato, non a caso, anche Namaskar mudra o Namasté mudra – a sua volta simbolo di unione spirituale tra la mente e il cuore: Anahata chakra è la congiunzione dello spirito con la materia, il razionale con l’intuitivo. I palmi delle mani (a volte discendenti da Ajina chakra, il terzo occhio) si uniscono davanti al cuore, creando un minimo spazio al centro come se contenessero una piccola sfera di energia, premendo leggermente i polpastrelli e la base. E’ un mudra di equilibrio attraverso il quale congiungiamo idealmente l’emisfero destro e sinistro del nostro cervello e annulliamo la dualità degli opposti ripristinando armonia, calma, silenzio e pace.

Una variante di Namasté molto comune in India è Namaskar, che ha la stessa radice in sanscrito (“namas”) ma seguita da “kara”, che significa “fare”. Si traduce quindi, letteralmente, con “fare un inchino” o “omaggiare”. Namaskar è la forma più tradizionale di eseguire il saluto, utilizzata verso gli anziani e le autorità superiori da persone che si attengono alle proprie radici, perché considerata più rispettosa in alcune parti dell’India. Namasté è invece usato ovunque ci si incontri, in strada, in casa, in treno, in autobus, in vacanza o al lavoro. Tra tutti i tipi saluti, la Spiritual Science Research Foundation sostiene che il Namaskar (Namasté) sia la forma di saluto più sattvik auspicabile, e che dovrebbe essere utilizzato il più possibile.

A ogni latitudine il saluto ci permette di uscire dalla nostra individualità ed entrare in contatto con il mondo. A volte provoca imbarazzo, richiede tempo e spazio mentale, risponde a sistemi complessi di regole e fa parte del galateo. Con i saluti iniziano le amicizie, gli amori, la conoscenza delle lingue, ci si avvicina a una nuova cultura. Il comunissimo “ciao” si usa ormai in tutto il mondo con nonchalance. Insieme a Hola, Ahoj, Alo, Annyeonghaseyo, Ave, Cześć, Goeie môre, Hallå, Hallo, Halo, Hei, Hej, Hujambo, Konnichiwa, Kumusta, Marhabaan, Merhaba, Mingalaba, Namaskāra, Nazdar, Nín hao, Olá, Privet, Pryvit, Salut, Shalóm, Sveiki, S̄wạs̄dī, Szia, Tālofa, Tungjatjeta, Xin chào, Zdravo, Γεια. Ma chi punta alla pura essenza e non ha smarrito il sentiero dell’evoluzione non avrà dubbi: Namasté (alé).

Viola Shanti

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