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India o Bharat?

L’India è la culla dello Yoga, non ci sono dubbi. O meglio… A dir la verità, per essere proprio precisi, dovremmo anche citare la Birmania, come terra di origine di Gorakhnāth – il padre dello Haṭhayoga – Sri Lanka, probabile patria del Patañjali storico – lo yogin, che il Patañjali grammatico pare fosse nato nell’attuale Afghanistan – il Nepal, il Tibet… ma in genere possiamo affermare, senza tema di smentite, che le origini dello yoga vanno cercate proprio lì, in quel coacervo di lingue, etnie e culture chiamato India anzi, “Bhārat”. Questa del nome è una  faccenda tutt’altro che trascurabile: a quanto sappiamo in nessuna delle 22/23 lingue ufficialmente riconosciute dal Governo – per non parlare dei circa 2.000 dialetti – la Bhārat Gaṇarājya o “Repubblica di Bharat”, si chiama India; e questo non dovrebbe sorprenderci affatto, visto che si tratta di una parola greca – Ἰνδία – che indicava, in origine esclusivamente la valle del fiume Indo. Nel corso dei secoli gli “stranieri” hanno usato la parola Ἰνδία, in maniera errata, per indicare tutto il vastissimo territorio compreso, da Nord a Sud, tra l’Himalaya e Capo Comorin (Kanyakumari), nel Tamil Nadu, fino a convincersi che fosse il nome dell’intero sub-continente, ma è come se un asiatico chiamasse l’intera penisola italica “Val Padana” o “Valle del Po”. Ovviamente, dato che chiamiamo la terra di Gandhi e Vivekananda “India”, “Indie” o Hindustan” da parecchi secoli lo possiamo considerare un errore veniale, ma a ben guardare è un dettaglio che rispecchia la nostra mentalità colonialista. Basandoci, più o meno consapevolmente, sul mito della “Western Superiority” – che traspare ancora oggi dal linguaggio che usiamo – interpretiamo le altrui culture e religioni sulla base delle nostre credenze, sovrapponendo il nostro sistema di pensiero al loro. Il risultato è stato, nel caso dell’India, quello di creare una Terra di fantasia, quasi da fumetto, popolata da milioni e milioni di santi, fachiri, yogin, dee del sesso e “Tigri del Bengala”.

Come spesso accade, a causa dei reciproci e frequenti scambi culturali, le favole create dagli occidentali sono poi state rivendute loro con gli interessi, fino ad arrivare quasi alla impossibilità di discernere le teorie e le pratiche tradizionali da quelle che sono frutto di una contaminazione culturale o addirittura una mistificazione della realtà.

Detto questo, la domanda che, forse, dovremmo farci non è se l’India sia la culla dello yoga o meno, ma se quello che pratichiamo in Occidente sia lo stesso yoga praticato sull’Himalaya o nelle foreste del Kerala.

Per la nostra esperienza, basata anche sulla collaborazione con yogi, marzialisti e danzatori indiani sin dagli anni ’80, la risposta potrebbe essere negativa. A partire forse, dal secolo scorso, forse prima ancora, abbiamo re-interpretato termini come Āsana, Vinyāsa, Meditazione e Contemplazione alla luce della nostra tradizione culturale, finendo, ad esempio, per sottovalutare l’aspetto della preparazione fisica e l’importanza data, nella cultura indiana, alla preparazione atletica, alla forza muscolare e alla bellezza esteriore. La dicotomia corpo/mente, o  materia/spirito, che permea la filosofa neoplatonica e determinate correnti del cristianesimo, nel pensiero indiano più antico – sāṃkhya, giainismo, buddhismo – è pressoché assente: il corpo umano non è la “tomba dell’anima”, ma riflette la forma dell’Universo, che a sua volta è la forma sensibile della divinità.

Corpo versus Spirito

Yogi Culturista al Tempio di Puri

Negli ultimi decenni, in Occidente, in seguito alla diffusione delle cosiddette “discipline olistiche”, siamo stati testimoni della proliferazione di una serie di vere o presunte tecniche psicofisiche orientali basate sulla percezione e sull’utilizzazione di una particolare energia sottile o energia cosmica (non solo Prāṇa, ma anche Ch’i, Ki, πνεῦμα, Spiritus) la cui circolazione sarebbe rallentata o addirittura impedita dallo sviluppo muscolare. Questa credenza, che nasce, secondo noi, da una conoscenza superficiale delle tecniche orientali, ha finito con il creare una vera e propria scuola di pensiero, legata a filosofie basate sul primato della mente o dello spirito sulla materia, che tende a sottovalutare lo sviluppo muscolare ed a considerare lo Sport in genere, e la Fitness in particolare, talvolta come un semplice passatempo, altre come un male necessario, altre ancora, addirittura, come un pericoloso strumento di sviluppo delle tendenze “egotiche”, dell’aggressività e della competitività.

Da una parte si pone – non sempre e solo in specifici ambienti, bisogna dire – lo Yoga inteso come disciplina finalizzata all’evoluzione spirituale dell’essere umano, dall’altro la Fitness o lo Sport intesi come discipline finalizzate alla, non si sa perché disprezzabile, bellezza fisica e armonioso sviluppo del corpo.

La dicotomia corpo/anima o materia/spirito, derivante probabilmente dalla filosofia neoplatonica (1), ha condotto alcuni a guardare quasi con sospetto le pratiche finalizzate allo sviluppo muscolare considerato in antitesi con l’evoluzione spirituale. Ovviamente si tratta di punti di vista “estremi”, ma l’idea che un corpo forte e armonioso sia l’espressione di un animo  grossolano, è ampiamente diffusa trai praticanti di Yoga quasi che la sensibilità e la curiosità intellettuale siano inversamente proporzionali alla massa muscolare.

Per definizione la Fitness è l’insieme di attività fisiche (ginnastica, massaggi, ecc.) che vengono praticate per ottenere uno stato di benessere, dove benessere, ovviamente non può che riguardare l’essere umano nella sua interezza; ovvero come insieme, diceva Delsarte (2), di corpo, spirito e anima, ma negli ultimi decenni si tende, spesso, a “santificare” la pratica dello Yoga e a “demonizzare” la pratica dello Sport e della Fitness.

Nella tradizione indiana le cose stanno in maniera completamente diversa: i guerrieri più valorosi e gli atleti più forti sono spesso, o sempre, le persone più spiritualmente evolute e la forza e la destrezza di cui fanno mostra continuamente provengono dal favore delle divinità e, in alcuni casi sono una prova, da tutti accettata, dell’essere loro stessi incarnazioni di una divinità. Kṛṣṇa, ad esempio, che noi immaginiamo solo nelle vesti di adorabile fanciullo o di raffinato amante impegnato a far danzare le Gopi al suono del suo flauto, era al di là di ogni ragionevole dubbio, il più grande lottatore e il più grande atleta dei suoi tempi. La sua fama, le sue ricchezze, addirittura il suo regno li avrebbe conquistati grazie alla forza sovrumana e all’abilità dimostrate sia nei combattimenti sia nel Jallikattu, la lotta con i tori ancora praticata nel moderno Tamil. Una delle più famose imprese di Kṛṣṇa, ad esempio, è l’uccisione di Kaṃsa”, una storia famosissima in India, raccontata anche nei libri per bambini e nelle fiction televisive. La trama è assai semplice:

Kaṃsa, re di Vrishni organizza nella capitale del suo regno, Mathura, un torneo di lotta a squadre, a cui partecipano anche Kṛṣṇa e il fratellastro Balarāma. I due affrontano Chanura e
Mustika, i due campioni locali, sconfiggendoli facilmente. Quindi Kṛṣṇa si lancia su un infuriato Kaṃsa, e lo massacra senza pietà, a pugni nudi (3). La violenza e la mancanza di compassione di Kṛṣṇa sono tali da far inorridire molti occidentali moderni, ma in India, come abbiamo detto, le cose stanno diversamente, anche se a noi può apparire assurdo Kaṃsa e gli altri numerosi avversari uccisi del “pastorello” sono felici di essere uccisi da lui perché riconoscono nella sua eccezionale potenza fisica la divinità suprema che ha scelto di rivelarsi dando loro la certezza della liberazione.

Il simbolo della potenza e della virilità di Kṛṣṇa è la sua mazza da guerra, una “Gadā”, chiamata Kaumodakī (4) – “colei che fa capitolare la mente” – un simbolo decisamente fallico, un
attrezzo ginnico e, al tempo stesso, uno strumento di morte che assume così tanta importanza nella mitologia hindu da venir venerato nella forma di una giovane dea, Gadādevī.

Ascetismo atletico

La Gadā vera e propria consiste in un’asta di legno o di metallo, sulla quale viene montata una sfera – solitamente di metallo – dotata di una punta all’estremità [vedi figura n. 2]; nelle pratiche di allenamento dei body builder e dei wrestler, se ne usa una versione con forma smussata, simile a quella dei birilli del Bowling, costruita principalmente in legno, nota con i nomi di Mudgara [Mudgar] o nel Sud dell’India Karalakattai [Karlakattai], in inglese Clubbell, il cui uso, come attrezzo da allenamento per wrestler e guerrieri, è testimoniato almeno sin dal XII-XIII secolo, in testi come il Mānasollāsa e, soprattutto, il Malla Purāṇa, di cui è conservata una copia risalente al 1731 nella biblioteca del Bhandarker Oriental Research Institute di Pune.

Allenamento di wrestler. probabile illustrazione ottocentesca del Malla Purana (XIII secolo).

Il Malla Purāṇa – letteralmente “antico racconto dell’atleta” – è un vero e proprio manuale di educazione fisica, diviso in diciotto capitoli nei quali vengono descritti, con grande precisione la dieta, i rituali e le tecniche di allenamento degli antichi lottatori. In India viene considerato un libro sacro – ovvero apauruṣeya, parola sanscrita che significa “non di origine umana” – nel quale Kṛsnạ rivela i suoi insegnamenti sulla lotta e la ginnastica al clan dei Jyesthimalla, una jāti (5) di Brahmani i cui appartenenti sono famosi almeno dal medioevo per le abilità ginniche e la conoscenza delle arti marziali (6).

L’importanza del Malla Purāṇa, secondo noi, consiste soprattutto nel suo testimoniare – l’assenza di una precisa linea di demarcazione tra Yoga e Sport, cosa che può apparire strana a molti praticanti di Yoga occidentali, ma dobbiamo arrenderci al fatto che per gli antichi indiani, i rituali di purificazione, la meditazione e la pratica degli āsana fossero tutt’altro che incompatibili con gli esercizi con i Clubbels e con i manubri, esercizi finalizzati esclusivamente allo sviluppo della forza muscolare e della bellezza del corpo.
Sulla base di testi quali il Malla Purāṇa e, soprattutto, di numerosissime testimonianze iconografiche – miniature, pitture murali e sculture -possiamo ipotizzare l’esistenza di uno Yoga inteso come una sorta di “ascetismo atletico”, una “filosofia del corpo” per la quale la forza fisica e la bellezza esteriore quali prove tangibili dei valori morali della persona, doni ricevuti dagli dèi grazie alle pratiche spirituali.

Si tratta di un concetto assai lontano sia dalla visione occidentale dello Yoga e della cultura indiana, sia dalla nostra idea di asceta. L’immagine di un atleta con il corpo lucido di olio, che esercita i bicipiti con una clava pesante venti o trenta chili è quanto più lontana possibile dalla nostra idea di ascesi, legata alle dure austerità dei santi cristiani, donne e uomini impegnati che vivono ad imitazione di Cristo, in una continua ricerca della redenzione attraverso la sofferenza fisica; ma è sufficiente consultare un dizionario etimologico per scoprire – indubbiamente con sorpresa che, in origine, la parola ascesi indicava propriamente la preparazione fisica degli atleti:

La parola “ascesi” deriva, infatti, dal latino “ascétis” che, a sua volta, proviene dal greco “ἀσκητής” (askétēs), che significa “colui che si esercita”, ed indica propriamente l’esercizio fisico «che originariamente si disse dell’allenamento usato dagli atleti per acquistare le doti corporali necessarie a trionfare nella lotta […]» (7).

L’ascetismo in origine, si riferiva alle pratiche di allenamento, pratiche grazie alle quali gli atleti, sviluppando forza muscolare, resistenza, elasticità e bellezza – una bellezza intesa come sviluppo armonioso del corpo fisico – si trasformavano in semidei. In conclusione: è vero che l’India – o meglio Bharat – è la culla dello Yoga?
Probabilmente si, ma noi siamo sicuri di sapere cosa è Yoga?

Laura Nalin e Paolo Proietti

NOTE

1 Per Plotino la materia rappresenta l’oscurità ovvero il male in sé contrapposto alla luce della vera Realtà, ovvero delle tre ipostasi: “Uno, Intelletto e Anima”. Il corpo fisico, tomba dell’anima, sarebbe un inutile sacco contenete urina, feci e sangue.

2 François Alexandre Nicolas Chéri Delsarte (Solesmes, 11 novembre 1811 – Parigi, 20 luglio 1871) è stato un tenore e insegnante francese. È conosciuto in particolare per i suoi studi sul rapporto tra gesto ed emozioni. Negli Stati Uniti si ispirarono al suo lavoro per creare metodi di preparazione fisica utilizzati sia dai danzatori sia dagli appassionati di Fitness.

3 Fonte:
– Dallapiccola Anna, Dictionary of Hindu Lore and Legend. ISBN 0-500-51088-1.
– George M. Williams. Handbook of Hindu Mythology. Oxford University Press. p. 178. ISBN 978-0-19-533261-2.
– John Stratton Hawley; Donna Marie Wulff. The Divine Consort: Rādhā and the Goddesses of India. Motilal Banarsidass (1982). p. 374. ISBN 978-0-89581-102-8.
– Aiyangar Narayan. Essays on Indo-Aryan Mythology-Vol. Asian Educational Services. p. 503. (1901) ISBN 978-81-206- 0140-6.

4 Vedi Mahābhārata 1,8200; Harivaṃśa; Bhāgavata-purāṇa ecc.

5 Jāti (जाति) un termine tecnico usato nelle antiche scienze indiane (matematica, geometria, astronomia) e indica “una famiglia”, “un gruppo sociale e professionale ereditario”, una casta.

6 Vedi:
– Joseph S. Alter, “The sannyasi and the Indian wrestler: the anatomy of a relationship”. American Ethnologist. 19 (2-May 1992). ISSN 0094-0496;
– Joseph S. Alter, The Wrestler’s Body: Identity and Ideology in North India. University of California Press. (1992). ISBN 0-520-07697-4.

7 Fonte: https://www.treccani.it/enciclopedia/ascetismo_(Enciclopedia-Italiana)/

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