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Che cosa significa meditare? E’ veramente qualcosa che possiamo creare in perfetta autonomia o una condizione che ha a che fare con un intuito naturale e che accade a prescindere dalla nostra volontà?
Googolando la parola ‘meditazione’ sul mio pc appaiono innumerevoli risultati sul web, tra video tutorial, piccole guide, applicazioni per la meditazione on demand, un po’ come le pizze che ci vengono consegnate a domicilio e che di questi tempi (scrivo ai tempi del coronavirus) vanno per la maggiore. Pure la meditazione sembra essere diventata un prodotto su richiesta, da ricevere direttamente nel salotto di casa.

Del resto possiamo avere tutto consegnato sullo zerbino di casa, al giorno d’oggi, perchè non anche la meditazione?
Da ex giornalista, tuttavia, sono sempre piuttosto scettica rispetto ai primi risultati che trovo su Google. Che poi la vera domanda che questo argomento mi impone è: ma cos’è la meditazione? Avviene con l’esercizio continuo, con la disciplina o è una condizione che avviene per naturalità?
Così ho preso un po’ di libri, un po’ di informazioni che ho ritagliato qua e là, frasi sottolineate con l’evidenziatore per cercare di ritrovarle più facilmente nel momento del bisogno. E ne ho trovata una nel libro ‘Il Cuore dello Yoga’ di Desikachar: «anche quando stai leggendo un libro e sei completamente assorto in ciò che leggi stai, in realtà, meditando».
Per Desikachar meditare significa prepararsi per il dhyana, lo stato in cui i nostri sensi sono completamente rimessi alla comunicazione che si instaura tra noi e l’oggetto verso il quale rivolgiamo la nostra mente. Dire «Sto meditando» stravolge completamente il concetto della meditazione o di dhyana, perchè è uno stato che non possiamo fare o creare: è una siddhi (potere) data gratuitamente quando si presentano le opportune condizioni.

Vi è mai capitato di trovarvi in una condizione di dhyana, in completo assorbimento e comunicazione con un oggetto senza accorgervene? Fino a raggiungere uno stato definito da Patanjali come Samadhi, nel quale c’è completa fusione nell’oggetto? In pratica Io e il libro che sto leggendo siamo la stessa cosa. In questo stato, come suggerisce Desinkachar, non c’è alcuno sforzo, la mente è completamente sgombra. E neppure il profumino di sugo che arriva dalla cucina mentre Nicola si diverte a fare il cuoco può in nessun modo distogliermi da questo assorbimento. Io sono l’oggetto, la storia che sto leggendo e non c’è nessuno sforzo in questo: se c’è sforzo, non c’è Samadhi.

La meditazione è quindi qualcosa che possiamo creare o una condizione che avviene in modo naturale? Qualcosa di puramente intuitivo, che prescinde dalle nostra facoltà riconosciute?
Possiamo mettere sforzo per generare una condizione propizia al verificarsi di una condizione di non-mente, ma forse non è scontato che questa situazione di non-mente si verifichi pur avendo noi fatto il possibile affinché si verificasse. Che ne pensate?
La meditazione, la non-mente, è quindi una siddhi che viene concessa gratuitamente, a prescindere dalla nostra espressiva volontà?
Per noi di Odaka Yoga, metodo che insegno e di cui mi sono innamorata, la non-mente risiede in un punto preciso del nostro corpo chiamato Hara Tanden, situato nel ventre, tre dita sotto l’ombelico tre dita in profondità. E’ il nostro nucleo centrale, banalmente chiamato baricentro in Occidente. E’ il punto in cui ci rivolgiamo per creare una condizione di non-mente.
Secondo la filosofia giapponese che si fonda sul concetto di Hara, l’Hara in sé conferisce a chi ne dispone particolari facoltà, procurando al soggetto esperienze che trascendono completamente i 5 sensi. E dà origine a doti che paiono quasi sovrannaturali in riferimento alla cosiddetta ‘normalità’. Hara è il centro e, secondo la nostra filosofia, «riesce in modo perfetto solo ciò che viene fatto con l’Hara», il Centro.

E’ interessante notare come, nella filosofia giapponese, il concetto di Hara sia spesso associato anche al concetto di Arte, che sia l’arte della spada, l’arte della freccia, l’arte del disegno, del tè e via discorrendo. Ovvero a qualcosa che preclude in sé il movimento. Per qualsiasi arte, l’Hara diventa allo stesso tempo il punto da ‘raggiungere’ e la condizione indispensabile per svolgere l’arte affinché il tutto avvenga in completa assenza di sforzo, naturalmente. Così come avviene la meditazione, nella filosofia yogica, in completa assenza di sforzo.
L’Arte, per il Giapponese, diventa il veicolo con cui ri-trovare e consolidare l’Hara, il Centro in cui sviluppa la non-mente, uno stato di profondo equilibrio dove nulla può ferirci e nulla, allo stesso tempo, eccitarci. Hara è uno stato di imperturbabilità.
Il fondamento per ri-trovare l’Hara e consolidarlo è la pratica, l’esercizio, continuo e ripetuto. Ma solo una volta che si avrà padroneggiata la tecnica, si sarà lasciato andare l’Io e l’ambizione, allora potrà verificarsi quella situazione di non-mente, meditazione, in assenza di sforzo.

Su tutti questi concetti basiamo la nostra pratica di Odaka Yoga. Lo Yoga, il movimento del nostro corpo, diventa quell’Arte con cui è possibile ritrovare il Centro, l’Hara, fino al punto in cui sarà l’Hara stesso a guidarci. Per noi la meditazione avviene nel movimento, in quella condizione di assenza di sforzo, dove siamo esattamente il movimento, e siamo l’Hara.
La pratica di Odaka è ricerca del Centro e Centro allo stesso tempo, quando siamo in grado di lasciare andare quella stessa pratica. Ciò che si verifica è straordinario e, proprio come raccontano i Maestri, privo di ogni ‘normalità’, una vera e propria siddhi che si produce gratuitamente. Il corpo, nella nostra pratica di Odaka, si muove naturalmente in movimenti che sarebbero impossibili con il controllo della mente. Si possono verificare solo in una situazione di non-mente, in assenza totale di pensiero e di sforzo.
Il Samadhi, la totale fusione, avviene nel nostro corpo: Noi siamo Hara, noi Siamo Yoga. Quando c’è fusione c’è meditazione.

Anche in Giappone, ogni Arte, non è solamente un’Arte per lo svolgimento di una prestazione fisica o mentale, ma un modo per ricongiungersi all’Hara. Il concetto di Hara può sfuggire ai più, ma come ci insegnano le filosofie orientali che si servono di sutra e Koan (frasi, parabole senza un apparente senso compiuto a livello logico e linguistico, ma che spingono l’uomo a superare i propri schemi di pensiero) – l’Hara può essere ben inteso superando i propri modelli concettuali. E’ qualcosa che arriva dall’interno.
Un tempo credevo che per meditare fosse necessario stare fermi, che solo nella staticità fosse possibile trovare la pace e il Centro, essere un tutt’Uno con l’Universo. Ora non credo più a questa affermazione, o meglio, non la considero l’unica soluzione.
Per noi di Odaka, la meditazione, la non-mente, avviene nel movimento, in un contesto di pura e continua dinamicità, dove i movimenti si originano da quel ventre, dall’Hara, si dissipano nel resto del corpo, per ritornare nuovamente al Centro in un costante e infinito movimento di contrazione ed espansione.

Recentemente ho letto un libro molto interessante, «Il Tao della Fisica» di Fritjof Capra, un trattato illuminante su come la fisica moderna, in modo particolare la fisica delle particelle (subatomica) possa essere assimilata alla filosofia orientale. Il trattato fa spesso riferimento alla cosiddetta Danza di Shiva come quel momento in cui si verifica la cosiddetta Unione con il Divino di cui tanto si parla e si ambisce nello Yoga e assimilabile, a seconda del Credo, qui al Tao qui al Nirvana. Ogni volta che parla di questo stato, dove tutte le cose sono Uno, parla di movimento, portando numerose similitudini con la dinamicità delle particelle, evidenziando come la materia in genere non sia statica, ma sia creata da un’infinita rete di interazioni in continuo movimento: tutto è concesso. Trovate per caso delle similitudini? Il movimento è, perciò, qualcosa di veramente naturale. Il movimento è la costante di tutte le cose. In modo particolare si evidenzia come molti dei movimenti e delle relazioni tra particelle subatomiche avvengano in un movimento di contrazione ed espansione infinita. Gli stessi movimenti che andiamo a ricreare nella pratica di Odaka Yoga, laddove il nostro corpo diventa un ritmo incessante di contrazione ed espansione infinita.

Voi vi chiederete cosa centra tutto questo con la meditazione, probabilmente. In effetti centra parecchio. Se la meditazione è uno stato naturale, un’Unione con il divino, in assenza di sforzo, un ritorno all’essenza delle cose, credo allo stesso tempo che la naturale dinamicità delle cose nell’Universo, possa condurci alla considerazione che la meditazione possa essere, senza sforzo, all’interno di un contesto estremamente dinamico, laddove dinamicità e movimento costituiscono la reale essenza di tutte le cose.
Lasciamoci condurre, senza freni, nella poderosa danza di Shiva.

Valentina Ferrero

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