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“Non conosciamo veramente noi stessi se non siamo in grado di sentire e dare un senso alle nostre sensazioni fisiche… se non si è consapevoli dei bisogni del corpo, non riusciremo ad averne cura…”

La percezione dello Yoga nel mondo contemporaneo segue oggi molte strade. E’ idea diffusa che lo Yoga aiuti a distendere tensioni e alleviare lo stress, inducendo ad un generale rallentamento dei ritmi e oggi sono sempre più i professionisti in campo medico a consigliare lo Yoga come aiuto per problematiche attinenti la postura o malattie mentali.

Tra i benefici della pratica Yoga c’è sicuramente la possibilità che può dare nel ristabilire una relazione amichevole col corpo, così come esso è nel momento presente, con le sue criticità, ma anche con il suo sconfinato coraggio e la forza che dimostra ogni giorno. Durante la pratica si cerca di allentare quella tensione profonda instaurando una relazione fiduciosa con il proprio corpo.
Il ricordo di un qualsiasi vissuto, emozioni e sentimenti, può essere immagazzinato sotto forma di tensione muscolare o di sensazione di sofferenza in zone corporee specifiche. Quando ci accade qualcosa spesso le parti del nostro cervello coinvolte nella formazione della memoria e del linguaggio si chiudono, come forma di protezione. I nostri corpi, tuttavia, ricordano tutto. L’inibizione all’espressione e la repressione dei sentimenti di paura, tristezza, rabbia e la concomitante tensione riducono la mobilità del corpo, producendo uno stato di vitalità ridotta o depressa.

Patanjali, negli Yogasutra, indica come principale causa di sofferenza per l’essere umano, l’ignoranza, ossia il non avere la chiara percezione di ciò che realmente si è. Nella quotidianità questa ignoranza si traduce con una scarsa connessione con il corpo, una limitata propriocezione che è quella capacità di percepirlo nello spazio e di sentirlo senza ricorrere alla vista. Rimuovere le rigidità richiede una resa al corpo stesso.

L’idea della resa è impopolare per l’essere moderno, intrappolato nell’idea che la vita sia una lotta, una contesa costante, pretendendo dal fisico la prestazione perfetta o il conseguimento di un risultato. L’identità personale spesso è più legata all’attività della persona che al suo essere; più legata all’immagine che dà di sé che alla realtà.

Resa non vuol dire semplicisticamente abbandono.

Resa significa lasciare che il corpo diventi pienamente libero e vivo, non tradirlo, non controllarlo; non trattarlo come una macchina da avviare o da fermare. Va riconosciuto che il corpo ha una saggezza frutto di miliardi di anni di storia evolutiva che la mente può solo immaginare senza mai riuscire ad afferrare davvero. Come ha detto Pascal: “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conoscerà mai.”

La realtà di base è proprio il corpo e perdendone la percezione, si perde la carica e la vitalità. Come nel noto esempio dell’iceberg, quello che si vede è solo poco più del dieci per cento della sua massa, ma è la parte oscura del corpo che lo fa fluire e che fa fluire la vita.

Nell’arrendersi, rispettando qualsiasi credo che spinge ognuno ad avvicinarsi allo Yoga, si declina un’azione presente e uno scoprire quanto sia più interessante il viaggio che si compie, rispetto ad un’ideale meta finale.

Occorre ricreare una nuova modalità di rapportarsi al corpo e di dialogare con esso.  Spesso si pretende dal fisico ciò che il suo tempo e la sua natura non può dare.  Si tende ad aggredirlo senza comprendere la qualità del dialogo e delle risposte che può fornire, dimenticando anche le domande poste. Il punto migliore per cominciare sta proprio nella respirazione, in quell’attività naturale e involontaria per cui la vita ne dipende in modo assoluto; sta nel contatto con la realtà, nel percepire il proprio corpo, la propria sessualità e il suolo su cui si trova.

Lo Yoga va visto come un cammino alla ricerca del sé e come percorso sottrattivo: non occorre aggiungere, non occorre aggiungere tensione, foga, giudizi e severità. E’ utile invece togliere ciò che ostacola la presa di contatto con la consapevolezza e l’espressione del sè.  Ciò è possibile mediante una pratica continua, libera da ogni aspettativa. Le difficoltà non mancheranno, ma è stimolante indagare che tipo di rapporto si riesca ad instaurare con le resistenze che si incontrano.

Da un punto di vista concreto, durante la pratica si possono usare supporti nel processo di ascolto e accettazione. Un supporto può aiutare ad eliminare alcune difficoltà evitando di praticare scorrettamente con il rischio anche di farsi male. Lo stesso vale per la proposta di varianti semplificate che forniscono al corpo strade per adattarsi con costanza e pazienza. Importante è vivere sempre la pratica con un senso di gratitudine nei confronti del corpo; rimettere il corpo al centro restituendogli la giusta considerazione e fare di ciascun Asana un trono nel quale far sedere grazia e ascolto, traduzione puntuale del linguaggio non verbale del corpo.

In ogni momento della giornata è possibile ritagliare uno spazio per lavorare su se stessi, approfondendo il proprio mito personale e i suoi collegamenti con la nostra interiorità, con la cultura in cui viviamo e da cui siamo continuamente plasmati.

Adele Fuccio

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