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Diamo così poca importanza al nostro respiro. Come se respirare fosse un gesto puramente involontario, guidato da una specie di ‘mano santa’, due sacche di pneumociti che sembrano non avere nulla a che fare con noi, che si contraggono e si espandono a un ritmo che non sappiamo bene da cosa sia generato.

Durante il Pranayama ci viene chiesto di connetterci con il nostro respiro come se noi e il ‘respiro’ fossero due cose differenti, come se ‘noi’ potessimo esistere oltre il nostro respiro.

Siamo così legati a una certa definizione di ciò che consideriamo ‘noi’, da non comprendere che quella connessione è qualcosa che già ci appartiene. E allora dobbiamo stabilire una connessione. Ma il concetto stesso di connessione, dà per scontato che le cose da connettere siano separate. Ma separate lo sono davvero?

Chi è che respira? Ce lo siamo mai chiesti? La risposta è alquanto ovvia, ma sconvolgente. Noi respiriamo, siamo parte attiva e protagonista e indispensabile di questo straordinario processo. Siamo in ogni singolo pneumocita che si espande e si contrae permettendo gli scambi gassosi che tengono in vita il nostro corpo. Benchè siamo convinti di esistere solo in alto, dove risiede la nostra materia grigia, il nostro io si trova ovunque, anche nella più piccola cellula del capillare che irrora il nostro mignolo. Non so perchè ci ostiniamo a considerarci come un agglomerato di componenti separate le une dalle altre, tanto da ritenere i nostri polmoni davvero come qualcosa di diverso da ciò che intendiamo a definiamo come ‘me’. Eppure, se chiudiamo gli occhi e ci concentriamo sul nostro respiro, questa connessione arriva come un fulmine al ciel sereno: è il miracolo della creazione. Quella cellula là in fondo al piede contiene lo stesso me, di un neurone conficcato nella mia cassa cranica.

La consapevolezza del nostro respiro e il pranayama sono tra le pratiche più rivelatrici di questa connessione. Ci presentano uno stato di quiete profonda come natura originaria di ciò che siamo veramente. Il pranayama ci aiuta a comprendere e canalizzare questo respiro.

Ma la parola Prana, in sanscrito, ha moltissimi significati. Da ‘aria prima’ a ‘energia’ e rappresenta tutto ciò che entra nel nostro corpo e dal nostro corpo deve essere digerito e trasformato. Va da sè, quindi, che prana non è solo l’aria che respiriamo, ma anche il cibo che ingeriamo, le parole che ci vengono dette e che ascoltiamo, le immagini che osserviamo, gli odori che percepiamo. Tutto ciò che può essere percepito dai nostri sensi è prana e i nostri sensi sono proprio quelle porte fondamentali che permettono la nostra interazione e convivenza con l’ambiente che ci circonda.

Prana Vayu, in Ayurveda, è uno dei subdosha di Vata, l’umore che insieme a Pitta e Kapha, costituisce il nostro corpo e rappresenta proprio l’aria che muove verso dentro. E’ situata principalmente nella testa ed è legata al nostro sistema nervoso centrale, ai nostri processi di pensiero, alla nostra capacità di apprendimento e di intelligenza. Tutto ciò che influenza il Prana, influenza anche tutte le funzioni fisiche a esso collegate. Se presentiamo disfunzioni al nostro sistema nervoso centrale, problemi di natura nervosa e neuronale, dobbiamo agire – in linea di massima – proprio sul nostro Prana.

E, nella fattispecie, la pulizia del nostre porte dei sensi (naso, bocca, orecchie, occhi) appare di fondamentale importanza, affinchè la percenzione avvenga nel modo corretto. In Ayurveda, per esempio, la percezione errata degli oggetti dei sensi costituisce una delle 3 cause di malattia, definita Asatmia Indrya Artha Samyoga. Questo sta a significare che se il prana (sotto forma di odori, sapori, immagini, suoni o esperienze tattili) viene assorbito dai nostri sensi in modo non adeguato, può creare disequilibrii al nostro sistema mente-corpo. Possiamo avere un uso eccessivo o in difetto dei nostri sensi e del prana. Ad esempio ascoltare musica ad alto volume durante i concerti o in cuffia, oppure lavorare in ambienti con rumori forti e costanti causati da macchinari pesanti. Stare a lungo a temperature estreme, fredde o calde. Fissare a lungo lo schermo dello smartphone o del computer. Mangiare frequentemente. Oppure, al contrario, indossare occhiali da sole o da sole in ambienti bui. Eccesso di protezione solare o di ombra, quando invece si ha bisogno del sole.

Nello Yoga, il Prana costituisce una delle 5 dimensioni o 5 corpi di cui siamo costituiti (corpi che vanno da uno stato più grossolano a uno più etereo): Pranomaya Kosha. Rappresenta il nostro corpo pranico, la nostra energia, legato agli aspetti più sottili della nostra mente. Secondo l’Ayurveda non tutti possiedono la stessa quantità di prana nel loro corpo, a seconda di quella che è la loro costituzione naturale. Possiamo agire per migliorare questa condizione, ma sempre nei limiti del nostro Svastha, ovvero del nostro stato del Sè originario.

Il Prana è quindi un insieme complesso di informazioni che il nostro corpo riceve quotidianamente e non semplicemente il nostro respiro. E’ importante quindi gestire e controllare ogni tipo di prana al quale siamo esposti.

Questo è sempre possibile cercando di vivere una vita consapevole e cosciente, soprattutto del momento presente.

Se siamo connessi con le nostre azioni, sapremo senza dubbio discernere ed effettuare le scelte giuste. In modo da consentire solo al prana adeguato l’accesso al nostro io.

Valentina Ferrero

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