2 0
Tempo di lettura:6 minuti, 35 secondi

Gli hindù lo chiamano Sandhi, quella capacità di essere tutto e niente. Shakti e Shiva contemporaneamente, buio e luce, creazione e distruzione. Nell’Unione di cui lo Yoga parla da secoli è racchiusa questa grande potenzialità: la non identificazione. In nulla.

Tantomeno nei ruoli che ricopriamo ogni giorno nella nostra vita, all’interno di cui crediamo si basi tutto ciò che può rispondere alla domanda: “Io sono”. In verità non siamo madri o padri,
non siamo figli o cugini, sorelle o fratelli e neppure avvocati o casalinghe. Non siamo insegnanti o allievi. Non siamo vegetariani né vegani né carnivori. Tutto ciò che possiamo mettere oltre il verbo “sono” è superfluo, poichè è l’identificazione in qualcosa che, per la legge degli opposti, spesso ci impedisce concettualmente di essere il suo contrario.
Così se per qualche motivo abbiamo scelto di essere madri, nella nostra vita, spesso ci impediamo di essere donne. Se abbiamo preferito una dieta a base di vegetali, rifiutiamo categoricamente ogni concetto che abbia a che fare con la carne animale. Se siamo questo non possiamo essere quello. E così programmiamo la nostra vita, limitando esponenzialmente le nostre possibilità d’azione.

Dimentichiamo, tuttavia, una grande verità: noi siamo Purusha, lo Yoga ce lo insegna bene. Pura coscienza: immobili nel movimento. Comprendere questa profonda verità è, probabilmente, il viaggio di una vita. Il viaggio che facciamo ogni giorno, fuori dal tappetino, quando lo yoga smette di essere semplicemente un susseguirsi di asana, ma diventa un vero e proprio lavoro con noi stessi, alla ricerca della nostra vera natura.

L’India è il luogo in cui questi concetti diventano improvvisamente tangibili e non pure speculazioni filosofiche inafferrabili per la nostra mente logica occidentale. La non dualità e il concetto di non identificazione in India si può toccare con mano: se ci si lascia andare al lusso, al movimento fluido delle giornate non organizzate, si può assistere a infinite versioni di se stessi. E non stupisce, così, che lo yoga sia nato proprio qui, dove tutto diventa possibile, come vi dirà un qualsiasi indiano che incontrerete per strada (“Everything is possible in India”).

Uno dei concetti che più di tutti, a mio parere, si presenta come biglietto da visita per questo Paese e sottende al significato più profondo dello Yoga è proprio il termine Sandhi. Il sandhi è uno “spazio” non dimensionale di infinita potenzialità, un vuoto dinamico in cui una cosa sta diventando un’altra, ma non ci è ancora arrivata. Il sandhi può essere meglio descritto come una giunzione o un portale tra il manifesto e l’incondizionato. Vivere all’interno di questo spazio incondizionato di infinita potenzialità è il frutto di ogni pratica di realizzazione diretta. Immaginate di salire su una grande ruota panoramica. La ruota gira inesorabilmente, portandovi all’apice del vostro circuito. In un momento, il movimento verso l’alto sta uscendo dall’essere, mentre il movimento verso il basso sta entrando nell’essere, ma nulla è definitivamente completato o iniziato. All’apice della ruota, c’è una sensazione di sospensione, di vuoto o di maggiore ampiezza. Ci sentiamo dinamicamente sospesi nel mezzo di una pausa che non può essere veramente tale perché la ruota non ha smesso di girare. Eppure, il sandhi della ruota panoramica ha durata, consistenza, gravidanza, spaziosità e una particolarità indefinibile. Tutti aspettiamo quel momento. È quasi la ragione per cui esistono le ruote panoramiche. Questo è il sandhi. Nelle terre di mezzo, va da sé, l’identità si perde. E, insieme all’identità, si perde anche il concetto stesso di controllo e cresce esponenzialmente quello di fiducia, una fiducia che nasce dalla consapevolezza che possiamo abbandonarci alla vita e all’amore, verso gli altri e verso noi stessi.

L’India è una grande maestra in questo, poiché mette a tacere, sin dal primo momento in se ne assapora l’odore, la nostra necessità occidentale di controllare il flusso in ogni suo singolo istante di tempo. Tuttavia, in India, nulla è veramente come dovrebbe essere e, per questo, sfugge totalmente al nostro controllo: il risultato è indipendente dall’equazione. Ma ci porta finalmente a non avere aspettative. A mano a mano che i giorni passano, la consapevolezza di avere un programma sfuma inesorabilmente, schiacciata con prepotenza dall’unico mantra che in India abbia veramente un senso: “tutto può essere”. Se il bazar all’angolo ad Assi Ghat a Varanasi friggeva samosa fino a ieri, non è detto che domani, lo stesso cuoco, si improvvisi imbianchino e sostituisca bombola a gas e padelle con latte di vernice e pennelli. E noi, con tutte le convinzioni di fare un buon pranzo a base di street food, saremmo costretti a cambiare totalmente programma, increduli di fronte a cotanta versatilità e flessibilità.

Ecco, ciò che ci manca, e che l’India e lo yoga vogliono insegnarci, è proprio questa sacrosanta flessibilità. Che non è, aimè, solo quella che guadagnamo quando ci apriamo a libro in upavistha konasana, ma una flessibilità ben più sottile, proprio quella flessibilità intrinseca nella nostra natura che, essendo stessa pura essenza cosmica, non ha bisogno di attributi per esistere. Non ha bisogno di definirsi insegnante o allievo, avvocato o ambulante di panini veggie. Non ha neppure bisogno di definirsi madre, padre o figlio. Ma è.

E’ questo, a mio modestissimo parere, il viaggio che siamo chiamati a compiere come praticanti di yoga, al di là della nostra pratica strettamente fisica. L’incontro con questo Vero Sè, che è essenza profonda di ciò che siamo davvero e Coscienza cosmica che abita all’interno di ogni Essere e per questo ci accomuna come onde di uno stesso oceano. Quel perdere  progressivamente il nostro attaccamento all’identità, ai ruoli che ricopriamo, all’immagine che ci siamo costruiti e che serviamo agli altri come prima portata. Stare ed essere quel ‘sandhi’, dove gli opposti smettono di essere tali e si fondono.

Più di tre millenni fa, i poeti dell’epoca vedica parlavano del Sé come dell’Uno che dimora nei molti, chiamandolo, appunto, Purusha (la persona cosmica) e descrivendolo come un essere con “innumerevoli teste, innumerevoli occhi e innumerevoli piedi”. Uno dei loro inni, il Purusha Sukta (l’inno dedicato alla persona cosmica), è uno dei principali testi sacri della tradizione svadhyaya. I primi tre versi, che seguono, ci danno un’idea di ciò che intendiamo: Om. Con innumerevoli teste, innumerevoli occhi, innumerevoli piedi, in movimento, eppure la base di tutto, la Persona cosmica è al di là della portata dei sensi.Egli è tutto questo, tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà. È il Signore dell’immortalità, che si espande come cibo. Tale è la sua gloria, eppure la Persona cosmica è di più. Una parte di Lui è la creazione, e tre parti si gonfiano oltre come la sua luce sconfinata.

Questo inno parla del Sé come di colui che vede attraverso gli innumerevoli occhi degli esseri creati, che è illimitato dal tempo o dallo spazio, che è l’essenza del processo di mantenimento della vita e la cui natura è solo parzialmente assorbita da tutto questo. Contemplare tale presenza – pensare e comportarsi come se esistesse e cercare di conoscerla, anche se non viene vista o udita attraverso i sensi – è il primo stadio dello svadhyaya, lo studio del Sé, uno dei precetti più importanti, ma anche più sconosciuti dello yoga.
Eppure, a chi non è mai capitato, nella vita, di chiedersi almeno una volta: chi sono?

Lo yoga, in questo meraviglioso viaggio di scoperta che dura probabilmente fino all’ultimo respiro, non pretende di darci delle risposte immediate da manuale, ma sicuramente ci dà gli strumenti per scoprirlo chi siamo. E non è forse questo il bello della pratica dello yoga?

Sapere che il viaggio di scoperta non ha una fine. E che, nel frattempo, possiamo permetterci il lusso di non essere necessariamente qualcuno di preciso, ma darci la possibilità di essere chiunque. Di stare nel ‘sandhi’, dove la notte non è ancora finita. Dove l’alba non è ancora iniziata.

Valentina Ferrero

Condividi l'articolo su:
Pin Share

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error:

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi