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Tempo di lettura:3 minuti, 36 secondi

Non tutti nascono yogi e, meno che mai, yogici. Vorrei condividere, con tutti coloro che avranno la pazienza e la gentilezza di leggere, la mia personale esperienza.

Fino a trentotto anni per me lo Yoga era una disciplina “mistica”, praticata da persone che, nella mia (errata) visione erano tendenzialmente calme, disciplinate, quasi una sorta di creature mitologiche capaci di trovare la pace nel caos e, soprattutto, super snodate, in grado di compiere movimenti tutt’altro che naturali.

Io, al contrario, mi vedevo goffa, con le articolazioni contratte da anni di corsa e sport vari. Pensavo che ormai la mia occasione per un corpo flessibile fosse sfuggita di mano insieme all’età e all’incombere dei quarant’anni.

Senza contare che la mia vita tutto era stata tranne che calma e rilassata. Problemi personali, familiari, lutti: insomma, la vita di una persona media. Tuttavia, in me si era alzato una specie di muro interiore, tanto subdolo quanto inconsapevole. E così mi ero chiusa, al mondo ma anche a me stessa. Ero sospettosa verso tutto e tutti, sempre sul chi va là. Se avevo un partner, ero sempre pronta ad attaccare briga perché, diciamoci la verità, non mi fidavo di nessuno (figuriamoci di me stessa).

Oggi direi che quello che facevo non era vivere la vita ma sopravvivere.

Un giorno mi decisi e srotolai per la prima volta il tappetino. Ora sono consapevole che nulla succede per caso ma, come si dice, “il maestro arriva quando l’allievo è pronto”. E io ero pronta. Non lo sapevo ancora, ma lo ero.

Il mio viaggio nello Yoga è stato quanto di più bello potesse capitarmi nella vita. E non solo perché ho scoperto che davvero non è mai troppo tardi per conoscere se stessi e il proprio corpo e non è mai troppo tardi anche per cambiare completamente la prospettiva sulle cose. Mi spiego meglio.

Quel tappetino divenne il mio posto sicuro, il luogo a cui tornare giorno dopo giorno. Ogni passo in avanti era una scoperta. La scoperta di quanto il nostro corpo sia una macchina meravigliosa, innanzitutto. Parallelamente, di quanto ogni conquista sul tappetino fosse frutto di lavoro e dedizione costante. Mi ritrovai a padroneggiare asana che prima potevo solo immaginare. Imparai l’importanza della forza di volontà. A quello step, ne seguì immediatamente un altro: la curiosità. Volevo sapere, conoscere tutto ciò che c’era oltre il tappetino. Mi immersi nella lettura di testi chiave, primo fra tutti, gli Yoga Sutra di Patanjali. E la curiosità anziché diminuire, aumentava. Mi appassionai di Ayurveda, dei legami esistenti tra ciò che mangiamo e come viviamo. La mia mente si aprì lentamente ma inesorabilmente. Fu un punto di non ritorno.

Ogni giorno, il momento di srotolare il tappetino era il “mio” momento. Feci la scoperta del secolo: il respiro consapevole. Sì, perché in effetti respiravo dal giorno in cui ero venuta al mondo. Ma non ci avevo mai pensato! Iniziai prima a sincronizzare il respiro con il movimento poi ad ascoltarlo in silenzio, in shavasana. Ora anche io potevo trovare la pace nel caos. Iniziai a meditare. Non fu facile. Ma fu illuminante. Fu l’ultimo step. Dal movimento alla quiete assoluta. Nel silenzio, con fatica e tanto impegno (quotidiano), trovai tutte le risposte che avevo sempre cercato. Alcune personali, altre che, con grande umiltà, ho il piacere di condividere, sperando che il mio racconto possa accendere una luce in qualcun altro.

Lo Yoga mi ha insegnato a guardare dentro anziché fuori. Come dice il mio grande Maestro Davidji, “trasformare il mondo, trasformando se stessi”. Ho imparato a rallentare, tutte le cose belle della vita richiedono tempo. Ho imparato che un piccolo gesto gentile può fare una grande differenza per qualcuno. Ho capito che ogni grande trasformazione inizia con un piccolo passo. Ho imparato che la consapevolezza è il più grande agente di cambiamento: essere consapevoli dei nostri pensieri ci restituisce il controllo su di essi e di conseguenza sulla nostra vita. L’intenzione guida l’azione.

Ma il più grande insegnamento che ho ricevuto dallo Yoga, quello che mi sento di mettere una spanna sopra a tutti gli altri, è la gentilezza, innanzitutto verso me stessa. Come posso essere gentile con gli altri se prima non lo sono con me stessa? E l’amore per stessi cambia la prospettiva su ogni cosa.

Namastè,
Marina Buccali

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