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Tempo di lettura:2 minuti, 48 secondi

Per me lo yoga è sempre stato una forma di terapia. Non la terapia intesa come qualcosa di rigido, di definito una volta per tutte, ma un viaggio che si trasforma insieme a me. La pratica non è mai uguale: cambia, evolve ogni giorno, si muove come la vita stessa. Ed è proprio per questo che continua ad essere terapeutica. Ogni momento della nostra esistenza chiede qualcosa di differente, e lo yoga risponde, si adatta, diventa quello di cui abbiamo bisogno.

L’unica costante è il tappetino. Quel luogo un po’ sacro in cui torno, ogni volta, per ritrovare me stessa. È come rientrare a casa dopo tanto tempo fuori: un posto dove posso lasciare andare tutto il resto, dove non c’è nient’altro da fare se non ascoltare. Ascoltare la mente, il respiro, il corpo. Lasciarli respirare, dare spazio all’anima, allo spirito, alle emozioni.

Sul tappetino lascio emergere – senza paura e senza filtri – tutto quello che porto dentro e che, spesso, nella vita quotidiana fatico perfino a guardare. Lo yoga mi permette di riconnettermi a quella parte profonda di me che nascondo, che evito, che a volte non so nemmeno nominare, che faccio fatica ad accettare. È attraverso il movimento, la respirazione, la meditazione, gli asana, che posso incontrarla con delicatezza.

In quel luogo sospeso, faccio in qualche modo “auto-terapia”. Osservo la mia mente senza lasciarmi travolgere dai pensieri. Osservo le emozioni senza che siano loro a decidere come sto, cosa faccio, come reagisco alle persone e alle situazioni. È come se la pratica creasse una distanza sana, una chiarezza che nella vita di tutti i giorni perdo facilmente.

Ogni sessione è diversa. A volte la pratica è dinamica, altre è lenta, altre ancora è semplicemente respiro. E non so mai davvero cosa emergerà. Ma nel momento in cui mi siedo, canto il mio OM e mi preparo, mi apro alla possibilità che quella pratica mi sorprenda. È un atto di dedizione verso me stessa: mi concedo quello spazio e accolgo ciò che arriva.

E alla fine, quasi sempre, arriva una mente più calma. Più limpida. Lo yoga ripulisce, crea spazio, toglie il rumore. È un po’ come quando si guida sotto un temporale: i tergicristalli vanno veloci, la visibilità è minima, sei tesa, non sai bene dove stai andando. E poi, dopo la pratica, è come ritrovarsi su una strada panoramica, in una giornata di sole. L’ansia si scioglie, la prospettiva si apre.

Lo yoga è questo, per me: terapia che non guarisce solo, ma che chiarisce. Che riallinea.

E quando manca – come in questo periodo della mia vita in cui pratico meno – sento la differenza. Non subito. Magari nei primi giorni sì, ma poi il corpo si abitua in fretta all’assenza, e quasi non ci fai più caso. È dopo mesi che capisci che ti manca qualcosa. La mente si ingolfa, l’anima chiede spazio, il corpo reclama respiro. Ma ricominciare è più difficile, perché ciò che non è più routine pesa il doppio.

E allora capisco, ancora una volta, che questa pratica va ascoltata. Che va coltivata. Che non possiamo continuare a mettere il lavoro, le scadenze, le mille priorità prima di noi. Quando nasce un bisogno, è importante riconoscerlo, non accantonarlo. Perché lo yoga è terapeutico proprio per questo: perché ci insegna ad ascoltarci e a tornare, ogni volta, a casa.

Nairi Rigon

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