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Tempo di lettura:4 minuti, 26 secondi

Ogni vero cambiamento nasce dal silenzio profondo in cui lanima ascolta se stessa.
Nel grembo della nostra coscienza riposa un seme: il Sankalpa, lintenzione pura.
Non è un desiderio comune, né un sogno passeggero.
È il richiamo sottile della nostra essenza, il filo doro che unisce ciò che siamo a ciò che siamo destinati a diventare.

Quando ci abbandoniamo in Savasana, all’inizio di una pratica, il mondo esterno si fa lontano. Il corpo si arrende alla gravità, la mente comincia a placarsi, e nella quiete ritrovata si apre uno spazio sacro. È lì che possiamo incontrare il Sankalpa: non come una scelta da fare con la mente razionale, ma come un ricordo che riaffiora, una direzione già impressa nel nostro cuore.

Sankalpa, in sanscrito, significa “proposito dell’anima”. Ma non si tratta di un’obiettivo da raggiungere con forza di volontà; piuttosto, è una memoria latente che si risveglia quando il nostro essere si allinea profondamente con il suo naturale fluire. Come il seme che contiene già il disegno del fiore, il Sankalpa abita in noi da sempre, in attesa che il terreno sia pronto, che il tempo sia maturo.

Nella pratica yogica, il momento più fertile per seminare il Sankalpa è quello in cui la mente si placa e il corpo si dissolve nel rilassamento profondo. Durante Savasana, o nei silenzi meditativi che seguono la pratica, il pensiero si fa più trasparente, e possiamo ascoltare quella voce interiore che, nella frenesia quotidiana, resta spesso soffocata. Non dobbiamo “inventare” un Sankalpa: dobbiamo ricordarlo. Per questo il Sankalpa non nasce dall’ego, ma dall’anima. Non ci spinge a diventare qualcun’altro, ma a realizzare pienamente chi siamo. Non chiede sforzo, ma fedeltà; non impone, ma guida. È un filo sottile che ci tiene ancorati alla verità più intima, anche quando i venti della vita ci confondono.

Come il fiore non forza la sua fioritura, come il fiume non dubita della sua strada, così anche il Sankalpa opera in silenzio. Richiede soltanto che torniamo, ancora e ancora, a quel luogo di ascolto puro. Che ogni giorno lo annaffiamo con la nostra attenzione gentile, senza impazienza, senza paura. La pratica dello Yoga ci offre gli strumenti per custodire questo seme: con il respiro che calma, con il corpo che si radica, con la mente che si schiarisce. E giorno dopo giorno, senza che ce ne accorgiamo, il Sankalpa si schiude, fiorisce, trasforma la nostra esistenza.

Il potere sottile dell’intenzione

Nel grembo silenzioso della coscienza, il Sankalpa si risveglia come un seme di luce.

Approfondiamo ora il potere sottile di questa sacra intenzione. C’è un momento, nella pratica dello Yoga, in cui il silenzio si fa così profondo che una voce sottile emerge limpida e vibrante. È la voce dell’intenzione autentica, quella che nello Yoga tradizionale chiamiamo Sankalpa. Non è un desiderio qualsiasi, né un obiettivo mosso dall’ego. Il Sankalpa è un’affermazione dell’anima, un proposito radicato nella nostra natura più vera. Non ci spinge a “diventare” qualcosa di diverso, ma ci invita a riconoscere e risvegliare una qualità che già vive in noi.

Nel pensiero vedico, si afferma che l’essere umano sia già completo, perfetto nella sua essenza più profonda. Il Sankalpa non aggiunge nulla: dissolve i veli che ci separano dalla consapevolezza di questa pienezza. Formulare un Sankalpa richiede una presenza sottile e paziente. Non si tratta di creare con la mente razionale una frase motivazionale, ma di ascoltare con il cuore. È un atto di introspezione profonda, come accendere una candela nella notte e restare in attesa della sua luce. Tradizionalmente, il Sankalpa si coltiva nei momenti di maggiore ricettività interiore: alla fine di una pratica di Yoga Nidra, subito dopo la meditazione, o nel silenzio di Savasana.

In questi spazi di quiete, lontani dal rumore del quotidiano, possiamo finalmente chiederci:
“Quale verità vuole fiorire attraverso di me?”
“Quale qualità, già presente in me, chiede di essere vissuta pienamente?”

Il Sankalpa si formula sempre al tempo presente, come se fosse già realtà. Non diciamo “spero di trovare pace”, ma affermiamo: “Sono radicato nella pace”. Non “vorrei essere più forte”, ma “Vivo con forza e dolcezza”.

Questa scelta non è solo poetica: parla direttamente al subconscio, modellando nuove strutture interiori attraverso il principio della neuroplasticità. La ripetizione consapevole del Sankalpa, soprattutto in stati di rilassamento profondo, agisce come una semina silenziosa che trasforma il nostro essere giorno dopo giorno. Non serve forzare.

Come il fiore segue il ritmo delle stagioni, anche il nostro Sankalpa ha bisogno di pazienza, fiducia, presenza amorevole. Alcuni Maestri insegnano che un Sankalpa, se formulato sinceramente, non fallisce mai. Anche se i frutti non sono immediatamente visibili, la direzione interiore è già tracciata. Il nostro compito è semplice: nutrire quella vibrazione ogni giorno, senza dubbi e senza attaccamento al risultato.

In un mondo che ci spinge costantemente a cercare fuori da noi stessi, il Sankalpa ci invita al ritorno: al ritorno alla nostra natura autentica, al nostro sentiero interiore, al nostro vero scopo.

E nel silenzio che segue l’intenzione, la trasformazione comincia.

Come il fiore che non forza la sua fioritura,
come il fiume che non dubita della sua strada,
così l’intenzione pura opera in silenzio.
Affidiamole il nostro cammino,
e lasciamo che il cuore ricordi ciò che ha sempre saputo.

Chiara Zucchelli

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